Alla fine di ottobre, il Mediterraneo era soggetto a un clima capriccioso. Bassel* e altre 24 persone erano a bordo di un’imbarcazione di fortuna da quattro giorni, senza cibo né acqua, quando l’Ocean Viking li ha trovati e salvati. Il giovane aveva lasciato l’Egitto, suo Paese d’origine, nella speranza di trovare un lavoro per aiutare la sua famiglia. Ma quando è arrivato in Libia, ha subito i peggiori abusi ed è dovuto fuggire via mare.
“Le condizioni di vita lì non erano facili, così sono tornato in Egitto. Tuttavia, le difficoltà economiche della mia famiglia mi hanno spinto a tornare in Libia con il progetto di attraversare il mare verso l’Europa, nella speranza di trovare un buon lavoro per aiutarli.
Quando mi sono unito ai trafficanti in Libia, mi hanno rinchiuso in un magazzino insieme ad altre 30 persone. Ci davano pochissimo cibo e acqua, così eravamo ridotti a lottare tra di noi per riuscire a ottenere una porzione. Quando mi sono lamentato, uno dei contrabbandieri mi ha versato dell’acido sulla gamba. Ho visto il fumo alzarsi dalla mia pelle. Poi ho visto l’osso. Non c’era quasi più pelle: potevo infilare mezzo dito nel buco che l’acido aveva lasciato. Mi hanno anche tagliato la mano in due punti. Ho dovuto ricucire le ferite da solo, con un ago che avevo trovato.
Poi ho visto l’osso. Non c’era quasi più pelle: potevo infilare mezzo dito nel buco che l’acido aveva lasciato.
Un giorno, il trafficante decise che era ora di partire. Ci disse che sarebbe andato tutto bene, che ci sarebbe stato un pilota e dei giubbotti di salvataggio. Ci portarono su una barca e ci diedero 12 croissant, qualche dattero da dividere tra le 25 persone a bordo e delle bottigliette d’acqua per tutti. Dopo giorni di stenti nel magazzino, stavamo morendo di fame. Abbiamo mangiato tutto non appena siamo salpati.
Dopo un po’, una barca venne a prendere il pilota e ci lasciò soli, dicendoci di “andare dritti”. Non avevamo idea di dove fossimo né di quale direzione prendere. Abbiamo provato a usare la bussola del telefono, ma con le onde la barca non andava nemmeno dritta. Più tardi, uno dei due motori si ruppe. Avevamo un telefono satellitare e abbiamo fatto diverse chiamate a un numero che ci era stato dato, ma senza grandi speranze. Abbiamo visto passare diverse barche, ma nessuno è venuto ad aiutarci. A un certo punto abbiamo detto una preghiera, quella che i musulmani recitano prima di morire. Ci sentivamo già morti.
Dopo quattro lunghi giorni senza cibo né acqua, all’orizzonte abbiamo visto la vostra nave. E quando abbiamo riconosciuto i sorrisi sui volti delle persone nelle barche arancioni, abbiamo capito che eravate lì per salvarci. È stato come rinascere.
*Il nome di questo sopravvissuto è stato cambiato per preservarne l’anonimato.