Il 3 agosto 2023, quattro scienziati hanno pubblicato sulla rivista Nature uno studio: le conclusioni dicono che “La ricerca e soccorso sulla rotta del Mediterraneo centrale non induce la migrazione”. In questo modo, hanno contraddetto una persistente fake news secondo cui le traversate sarebbero causate dalla presenza di navi umanitarie in mare.
Alejandra Rodríguez Sánchez, Julian Wucherpfennig, Ramona Rischke e Stefano Maria Iacus hanno cercato di indagare l’ipotesi che le operazioni di ricerca e salvataggio (condotte dagli Stati o da navi civili) favoriscano la migrazione irregolare, una fake news ricorrente in certi ambienti ostili alle ONG in mare.
Il loro studio ha analizzato l’impatto di eventi o cambiamenti sostanziali nelle leggi, nelle politiche e nelle pratiche di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale tra il 2009 e il 2021.
Utilizzando statistiche e risultati noti per prevedere i risultati futuri, gli scienziati hanno esaminato in particolare tre eventi principali:
- Ottobre 2013 ottobre 2014 – Operazione Mare Nostrum condotta dal governo italiano;
- Agosto 2014 – prime operazioni condotte da ONG civili;
- Gennaio 2017 – prime intercettazioni da parte della guardia costiera libica.
Il rapporto afferma che “per i periodi in cui le strutture di ricerca e soccorso erano presenti, non c’è stata alcuna differenza percepibile tra il numero osservato di tentativi di attraversamento e il numero contro fattuale previsto” (che avrebbe potuto verificarsi), e che “la migrazione irregolare non è guidata dalla presenza di strutture di ricerca e soccorso“.
L’indagine “contraddice direttamente il ‘pull factor’, dato che la differenza tra la serie prevista e quella osservata è lontana dall’essere statisticamente significativa”. Sulla base della selezione di altri “fattori di spinta e di attrazione”, continuano gli scienziati, “ci si poteva aspettare un numero simile di tentativi di attraversamento nel periodo in cui le operazioni di ricerca e salvataggio del settore privato erano più attive”. Al contrario, lo studio mostra addirittura che nel 2016 e nel 2017 i tentativi di attraversamento sono stati meno numerosi del previsto.
Così, seguendo i cambiamenti nel numero di tentativi di attraversamento (previsione rispetto alla realtà), gli autori concludono che “è più probabile che la migrazione irregolare sia spiegata dal deterioramento delle condizioni economiche, dal degrado ambientale, dai conflitti o dalla violenza e dalla persecuzione politica, come indicano in parte alcune delle nostre covariate predittive”.
L’indagine mostra anche che durante il periodo in cui sono attive le risorse di ricerca e soccorso (dispiegate dallo Stato e dal settore privato), il tasso di mortalità è stato più basso e meno volatile rispetto a prima e dopo gli stessi periodi.
Gli autori osservano che “le operazioni di ricerca e salvataggio sono avvenute generalmente dopo che è stato osservato un aumento del flusso migratorio, rendendo le operazioni di salvataggio l’effetto piuttosto che la causa dell’aumento iniziale degli attraversamenti, il che compromette qualsiasi affermazione di causa ed effetto”. Lo studio afferma inoltre che “le operazioni di ricerca e salvataggio non influenzano un flusso già esistente, né il numero di migranti potenziali o futuri pronti a compiere la traversata”.
LO STUDIO DELL’ISPI DEL 2020
Lo studio condotto dalla rivista Nature non ha fatto altro che confermare ciò che tre anni fa l’Ispi (istituto per gli studi di politica internazionale) aveva sostenuto in un un articolo intitolato: “Le migrazioni e il mito del Pull Factor nel Mediterraneo”. Nel pezzo firmato da Matteo Villa si dimostra chiaramente l’inconsistenza delle accuse mosse nei confronti delle Ong da quanti tendevano ad additarle come Pull Factor per mi migranti che decidevano di partire verso l’Europa.
Nel pezzo si legge: “Abbiamo scoperto che le attività di salvataggio delle ONG non hanno aumentato le partenze di migranti dalla Libia, che sono rimaste quasi esattamente identiche a quando nell’area non era presente alcuna nave. Le partenze sembravano essere influenzate dalle condizioni meteorologiche – con l’aumento delle temperature che aumentavano lentamente le partenze, e i forti venti le diminuivano drasticamente – e dalle condizioni politiche in Libia, non dall’arrivo delle navi di soccorso. Continuiamo a raccogliere dati fino ad oggi e nel periodo tra gennaio 2019 e metà febbraio 2020 non è possibile trovare alcun fattore di attrazione”.