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“Una notte sono riuscito a scappare e sono entrato in contatto con un trafficante che mi ha promesso che questo incubo sarebbe finito con la traversata in mare. Ho detto di sì, non potevo più sopportare quelle torture continue”. 

Saleh*, 35 anni, siriano, era una delle 247 persone salvate dal team della Ocean Viking nel febbraio 2022. Saleh è stato tratto in salvo da una barca di legno in difficoltà insieme ad altri 92 sopravvissuti dopo aver trascorso ore nella sentina dell’imbarcazione, stretto con altri superstiti sottocoperta. 

Saleh viene da Idlib, in Siria. All’inizio della guerra, nel 2012, è rimasto ferito da una bomba mentre guidava una moto con un amico. “Sono stato fortunato a sopravvivere, il mio amico non ha avuto questa possibilità”. Aveva una gamba rotta e frammenti della bomba nella pelle. Non potendo essere curato adeguatamente, è volato in Libano con la moglie e le due figlie, dove sono stati messi in un campo.  

Nel 2020, Saleh venne molestato da un gruppo di persone nel campo. “Un giorno, sono stato rapito da un gruppo che mi ha rimandato in Siria. Per un mese e mezzo sono stato torturato, finché non sono stato processato da un tribunale di guerra del governo in carica. A causa della guerra, in quel periodo non ci era permesso fuggire in un altro Paese. Dovevamo combattere, e io non l’ho fatto”. Saleh ha confessato. “Se avessimo protestato, ci avrebbero piantato una pallottola in testa”. Dopo sei settimane di carcere, Saleh ha riportato segni su tutto il corpo, rimanendo sfigurato. Nonostante ciò, il governo voleva integrarlo nuovamente nell’esercito. “Mi hanno dato cinque giorni per riprendermi prima di rimandarmi nell’esercito. Sono riuscito a contattare una persona che conoscevo per fuggire. Abbiamo guidato per ore su una moto mentre io ero a pezzi. Ma riuscii finalmente a tornare in Libano”.  

Tuttavia, Saleh non si sentiva più al sicuro in Libano e avendo paura di essere rispedito in Siria, ha deciso così di fuggire. Una delle opzioni più semplici era volare in Libia, dato che non aveva bisogno di alcun visto per arrivarci. Un conoscente siriano gli ha detto che avrebbe potuto nascondersi e lavorare per qualche tempo il Libia prima di tornare dalla sua famiglia. “Appena sono arrivato a Bengasi, ho capito che era una trappola. All’aeroporto tutti avevano dei kalashnikov. Abbiamo aspettato seduti per cinque ore sotto il sole. Hanno sequestrato i passaporti di tutti e ci hanno picchiato. Le milizie sono ovunque in Libia, e si deve pagare per riottenere il passaporto”.  

Una volta ripreso il passaporto, Saleh si è recato a Tripoli, nella speranza di tornare in Libano. Durante il tragitto è stato rapito ed è finito nel centro di detenzione di Zuwarah. “Lì ho subito torture psicologiche, le guardie sparavano in aria, ogni giorno, e ricevevamo del cibo una sola volta al giorno. Una volta, un’altra milizia è arrivata nel centro e ci ha divisi per nazionalità. Hanno preso i siriani e tutti i soldi che ci erano rimasti, e ci hanno torturato di nuovo. Una notte sono riuscito a scappare e sono entrato in contatto con un trafficante che mi ha promesso che questo incubo sarebbe finito con la traversata in mare. Ho detto di sì, non potevo più sopportare quelle torture continue”.  

Il trafficante prese il telefono e il resto degli effetti personali di Saleh prima che si imbarcasse. “In Libia siamo trattati come oggetti. Dopo aver raggiunto il giacimento petrolifero di Buri, uno dei nostri motori si è rotto. Siamo rimasti alla deriva per 12 ore, finché non è arrivata la guardia costiera libica. Prima ci hanno colpito, poi ci hanno imbarcato sulla loro nave e ci hanno mandato al centro di detenzione di Al-Malikiyah. Eravamo 700 persone nella stessa stanza, senza servizi igienici, la carenza di igiene ha causato la diffusione di molte malattie”. Poiché Saleh non aveva più soldi, è stato nuovamente torturato in cambio di un riscatto da parte della sua famiglia. Dopo qualche tempo, è stato mandato a Sabratha e ha tentato di nuovo di attraversare il mare. “Sapevo di poter annegare, ma a questo punto non mi importava più”. Saleh ha viaggiato nella sentina della barca di legno. “Ero bagnato e freddo, l’acqua entrava. Un peschereccio ci ha girato intorno per ore senza aiutarci, minacciandoci e cercando di prendere il nostro motore. Ma poi siete arrivati sul posto. Senza di voi, non so cosa sarebbe potuto accadere”. 

“Ora spero di riuscire a riunirmi con mia moglie e le mie due figlie. Voglio che siano al sicuro. Vorrei che tutti noi fossimo al sicuro”. Ha concluso Saleh.   

* Il nome è stato cambiato per proteggere l’identità del sopravvissuto. 

La testimonianza è stata raccolta da Claire Juchat, ufficiale di comunicazione a bordo della Ocean Viking a Febbraio 2022, e tradotta da Amine, membro del team SAR.