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L’ONU denuncia uno “scioccante ciclo di violenze” per le persone in fuga dalla Libia, rafforzato in mare dall’UE

La seguente pubblicazione di SOS MEDITERRANEE intende far luce sugli eventi che si sono verificati nel Mediterraneo centrale nelle ultime due settimane. «Sguardo sul Mediterraneo» non è inteso come un aggiornamento esaustivo, ma si propone di trattare le questioni relative alla ricerca e soccorso che si verificano nell’area in cui operiamo dal 2016, sulla base di rapporti di diverse ONG, organizzazioni internazionali e articoli dalla stampa internazionale.

[Il 28 ottobre sono state apportate delle correzioni a questo articolo per quanto riguarda il controllo amministrativo condotto a bordo della nave di Open Arms]

L’UE ripara e riconsegna alla Libia due motovedette, consentendo futuri respingimenti forzati verso un nuovo ciclo di abusi

Due navi libiche appartenenti all’Amministrazione generale libica per la sicurezza costiera (GACS) sono state riconsegnate alla Libia dopo essere state riparate grazie al sostegno finanziario dell’UE e dell’Italia per “rafforzare la capacità libica di ricerca e soccorso in mare” e “salvare vite umane e affrontare il traffico di esseri umani e la criminalità organizzata lungo la costa libica”, come annunciato in un comunicato stampa della Delegazione dell’Unione europea (UE) in Libia. Queste comunicazioni dell’UE, tuttavia, omettono di ricordare che le persone intercettate da queste due motovedette saranno sbarcate nei porti libici, in violazione del diritto marittimo riconosciuto dalla stessa Commissione Europea e contro le raccomandazioni del Consiglio d’Europa.

Nonostante le istituzioni dell’UE siano ormai, nel 2020, pienamente consapevoli del ciclo di abusi e di detenzioni che attende le persone intercettate in mare e riportate in Libia, le politiche perseguite dall’UE in questi ultimi cinque anni per il rafforzamento e il finanziamento delle autorità libiche proseguono e vengono persino promosse.

Sono quasi 10.000 le persone intercettate in mare e riportate forzatamente in Libia da gennaio 2020

Lo scorso fine settimana (11 e 12 ottobre), in soli due giorni, 390 persone sono state intercettate dalla cosiddetta guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia, paese che non può essere considerato un luogo sicuro (OIM). In realtà, sono più di 9.800 le persone che, dall’inizio dell’anno, hanno subito i respingimenti (pull-backs) delegati alla Guardia Costiera libica (OIM). Tra loro, persino 465 bambini, secondo i dati raccolti dall’International Rescue Committee (IRC) tra marzo e settembre 2020.

La politica dei respingimenti, però, non serve a fermare le partenze e, dunque, i naufragi. Tra il 28 settembre e il 5 ottobre, infatti, 11 corpi senza vita si sono arenati sulle coste libiche, secondo quanto riferisce l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM).

 

Nuovi rapporti sulle terribili condizioni di vita dei migranti in Libia

La Libia, come sappiamo, non può essere considerata un porto sicuro per sbarcare le persone salvate o intercettate in mare. Sono svariati e continui, purtroppo, i tragici “promemoria” di questa terribile realtà.

La notte del 28 settembre, circa 350 persone in maggioranza provenienti dall’Africa occidentale, tra le quali 24 bambini, sono state rapite da uomini armati nelle vicinanze di Sabrata, in Libia. “Da allora, alcuni sono fuggiti e altri sono stati rilasciati, ma 60 persone sono ancora tenute prigioniere”, ha riportato la scorsa settimana Medici senza frontiere (MSF). Secondo MSF, “il gruppo, che comprende 24 bambini, è stato rapito dalle proprie case quasi due settimane fa ed è detenuto in una ex base militare in condizioni spaventose”. Il 2 ottobre, secondo quanto riferito, tre uomini sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco nel tentativo di fuggire (Ansamed).

Quattro giorni dopo, un uomo nigeriano è stato bruciato vivo e altri tre uomini hanno subito ustioni in seguito all’attacco di una fabbrica da parte di tre uomini libici nel quartiere tripolitano di Tajoura, come riferito dal capo missione dell’OIM Libia e dal Ministero dell’Interno del governo libico riconosciuto dalle Nazioni Unite.

Il Mediterraneo centrale senza più navi umanitarie delle ONG

Nonostante la situazione umanitaria in Libia sia gravissima, alle navi della flotta civile viene impedito di svolgere la propria missione salvavita e di testimoniare delle attività illegali e delle morti che accadono nel Mediterraneo Centrale quasi quotidianamente.

Sei navi umanitarie sono ancora detenute o impossibilitate a svolgere le loro missioni di soccorso nel Mediterraneo centrale per decisione delle autorità italiane. La nostra Ocean Viking e, insieme ad essa, la Aita Mari, la Sea-Watch 3, la Sea-Watch 4 e la Mare Jonio sono bloccate da diverse settimane o da mesi (vedi la nostra precedente edizione di Sguardo sul Mediterraneo) – mentre il 9 ottobre scorso la Alan Kurdi è stata sottoposta, per la seconda volta quest’anno, a fermo amministrativo dalle autorità italiane.

La non detenzione della nave Open Arms della ONG Proactiva-Open Arms, a seguito di un controllo amministrativo condotto dopo un periodo di quarantena nel porto di Palermo, offre invece un flebile barlume di speranza per la liberazione delle navi della flotta civile. Il 3 ottobre, la nave della ONG spagnola ha superato con successo un controllo amministrativo. La nave è ora a Barcellona, pronta a tornare in mare. Tuttavia, nel frattempo, sono passate quasi due settimane senza alcuna nave umanitaria operativa nel Mediterraneo centrale, mentre le partenze e i naufragi continuano.

Il 10 ottobre, un’imbarcazione in difficoltà con circa 130 persone a bordo è stata avvistata dall’aereo Seabird, uno dei mezzi aerei di Sea Watch. Sea Watch ipotizza “che la barca sia stata infine intercettata dalla cosiddetta Guardia Costiera libica – ancora una volta con la partecipazione di attori europei”.

Italia: Nuovo decreto sulle migrazioni

Il 5 ottobre scorso il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo decreto sull’immigrazione, modificando i precedenti decreti sicurezza, voluti dall’ex ministro degli Interni Matteo Salvini, e modificando in parte la normativa italiana in materia di Ricerca e Soccorso. Il nuovo decreto sull’immigrazione prevede una clausola di esclusione dalle sanzioni per le navi che hanno effettuato operazioni di salvataggio. Tuttavia, diverse disposizioni, soggette a interpretazione, mantengono un clima di incertezza per quanto riguarda le missioni di soccorso in mare e di complessiva presunzione di colpevolezza nei confronti di navi che hanno compiuto il semplice gesto di salvare vite umane in mare. Nel nuovo decreto, infatti sono previste pene detentive fino a 2 anni e multe fino a 50.000 euro. Il decreto sembra inoltre assoggettare la condotta delle operazioni di ricerca e salvataggio in mare alle politiche migratorie, mentre le operazioni di ricerca e soccorso in mare non possono essere considerate un atto politico. Salvare vite in pericolo non è altro che un dovere legale e morale, regolato per decenni dalle convenzioni marittime internazionali, come ha recentemente ricordato la Commissaria UE, Ursula von der Leyen.

Anche il Commissario dell’Alto Commissariato delle Nazione Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, ha dichiarato, a margine dell’approvazione del decreto italiano: “Ridurre la capacità di ricerca e soccorso, o ostacolare le attività a chi si impegna a salvare gli altri, o respingere le persone senza un giusto processo, non impedirà alle persone di muoversi; porterà solo più morti e l’ulteriore erosione della protezione dei rifugiati”.

Le polemiche sulle navi quarantena

Recenti rapporti di media e ONG italiane hanno rivelato che uomini e donne regolarmente soggiornanti in diversi centri di accoglienza temporanea in Italia, e che sono risultati positivi al Covid19, sarebbero stati trasferiti sulle navi quarantena noleggiate dal governo italiano per le persone soccorse in mare. Questa informazione è emersa dopo la tragica morte di un ragazzo di 15 anni, originario della Costa d’Avorio, con il sogno di raggiungere l’Europa che, dopo essere stato evacuato dalla nave quarantena “Allegra”, è deceduto in un ospedale di Palermo.

Abdou Diakite – questo il suo nome – era stato soccorso a metà settembre dalla nave della Ong Open Arms, mentre si trovava a bordo di un’imbarcazione partita dalla Libia; trasferito il 18 settembre sulla nave quarantena “Allegra”, è stato visitato il 28 settembre  dai sanitari a bordo, che ne hanno disposto il ricovero l’indomani, ed è stato poi evacuato il 30. È in corso un’indagine da parte delle autorità italiane, avviata dal tutore legale italiano di Abdou, per identificare la causa della morte (Repubblica).

In generale, va sottolineato che dalle navi quarantena trapelano poche e rare notizie. La situazione a bordo, però, sembra essere a dir poco problematica, come dimostrano i vari incidenti che continuano a ripetersi: sabato 3 ottobre, tre persone si sono gettate in mare dalla “Azzurra”, una delle cinque navi quarantena italiane. Due persone sono state recuperate, ma una risulta ancora dispersa, secondo quanto riporta Rai News.

Nuove partenze e nuovo naufragio

Le partenze continuano. E quando le persone che tentano di attraversare il mare non vengono respinte, rischiano comunque la vita a bordo di imbarcazioni non adatte alla navigazione. Anche negli ultimi giorni il mare e l’indifferenza degli stati europei hanno reclamato altre vite: secondo l’OIM, 11 cadaveri sono stati ritrovati sulle coste libiche all’inizio di questo mese. Dal drammatico naufragio avvenuto lo scorso 11 ottobre al largo di Sfax, in Tunisia, sono stati finora recuperati 17 cadaveri, mentre 4 o 5 persone risultano ancora disperse (AFP/Infomigrants).

I numerosi naufragi, però, non fermano le partenze: il 2 ottobre le forze armate di Malta hanno salvato 38 persone. Secondo il giornalista Sergio Scandura, la Asso Ventinove, nave di rifornimento offshore battente bandiera italiana, di stanza vicino al giacimento petrolifero di Bouri, ha salvato 68 persone partite dalla Libia. I sopravvissuti sarebbero sbarcati a Lampedusa la sera del 13 ottobre. Gli sbarchi sull’isola di Lampedusa, dove lo scorso week end sono arrivate più di 800 persone a bordo di 37 diverse imbarcazioni, sono stati continui. 308 persone, di cui 8 risultate positive al Covid19, sono state trasferite domenica sulla nave quarantena Snav Adriatico. Altre 236 saranno messe in quarantena sulla nave Snav Allegra.

Altre rotte migratorie sono sempre attive, verso la Sardegna, la Puglia e, in particolare, verso la Calabria, interessata da vari sbarchi nelle ultime due settimane. Nei primi giorni di ottobre, gli sbarchi in Calabria sono stati il doppio di quelli registrati in tutto il mese di settembre (635 persone). Le ultime due imbarcazioni sono arrivate domenica scorsa a Roccella Ionica: la prima con a bordo 57 persone di nazionalità iraniana e irachena, tra loro anche donne e 18 minori; nella seconda, una barca a vela, approdata nel porto di Crotone, si trovavano 56 persone, tutte pachistane, tra cui 18 minori (Avvenire). Mentre la giornalista di Rai News Angela Caponnetto aveva riferito il 2 ottobre scorso di due imbarcazioni provenienti dalla Turchia, per un totale di circa cento persone, intercettate dalla Guardia di Finanza e fatte sbarcare in Calabria.

L’Ufficio per i diritti umani dell’Onu chiede “un’azione urgente per affrontare la terribile situazione dei migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo centrale”.

L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) ha recentemente inviato una missione a Malta per monitorare la situazione dei migranti in transito attraverso la Libia e il Mediterraneo. Gli esperti ONU hanno evidenziato uno scioccante ciclo di violenza: persone che avevano già affrontato inimmaginabili orrori in Libia sono state lasciate giorni alla deriva in mare, intercettate con la forza e riportate indietro per subire di nuovo detenzioni arbitrarie, torture e altre gravi violazioni dei diritti umani.

La Libia è un paese che non può in alcun modo essere considerato un porto sicuro per i migranti. L’agenzia delle Nazioni Unite ha quindi chiesto in un comunicato stampa il 2 ottobre scorso “un’azione urgente per affrontare la terribile situazione dei migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo centrale in cerca di sicurezza in Europa”, ribadendo l’urgente necessità di “affrontare le scandalose condizioni che devono affrontare in Libia, in mare e – spesso – al momento della loro accoglienza in Europa”.  Il comunicato stampa “Ciclo di violenze “scioccanti” per i migranti che partono dalla Libia per cercare sicurezza in Europa”, riporta anche “gravi accuse di mancata assistenza a persone in pericolo  in mare e possibili respingimenti  coordinati che dovrebbero essere debitamente indagate”.

Le persone che soccorriamo sono tutte in condizioni di salute precarie, hanno subito abusi e violenze, hanno affrontato giorni di attesa in mare. Ribadiamo pertanto la necessità che vengano fatte sbarcare in un porto sicuro nel più breve tempo possibile e che abbiano accesso alle cure e alla dovuta protezione.

Photo credit: Kenny Karpov / SOS MEDITERRANEE

Il nostro “Sguardo” resta sul Mediterraneo. Per garantire testimonianza di quel che avviene nel Mediterraneo Centrale e per onorare i morti e i dispersi. Continuiamo a osservare e a raccontare.