Sguardo sul Mediterraneo #14

Sguardo sul Mediterraneo #14

La seguente pubblicazione di SOS MEDITERRANEE intende far luce sugli eventi che si sono verificati nel Mediterraneo centrale nelle ultime due settimane. «Sguardo sul Mediterraneo» non è inteso come un aggiornamento esaustivo, ma si propone di trattare le questioni relative alla ricerca e soccorso che si verificano nell’area in cui operiamo dal 2016, sulla base di rapporti di diverse ONG, organizzazioni internazionali e articoli dalla stampa internazionale.

> Aggiornato al 30 settembre 2020

Continuano i naufragi mortali e i lunghi blocchi in mare, mentre tutte le navi umanitarie sono state fermate.

Si susseguono i naufragi segnalati al largo della costa libica, mentre quasi un migliaio di persone sono state intercettate in mare e forzatamente riportate in Libia. Mentre tutte le navi delle ONG sono attualmente bloccate in porto, una catena di terribili naufragi è stata riportata alla luce da organizzazioni come l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) e Alarm Phone nella seconda metà di settembre; il numero di persone scomparse o decedute è purtroppo finora solo una stima.

Sulla base di diverse testimonianze, la rete di monitoraggio civile Alarm Phone stima che tra il 14 e il 25 settembre siano avvenuti sei naufragi nel Mediterraneo centrale, per un bilancio di almeno 190 persone morte o scomparse; alcuni dei sopravvissuti sono tali solo grazie ai soccorsi operati da pescherecci libici 

Tra i 190 morti e dispersi rientrano anche le vittime di due naufragi segnalati dall’IOM: nel primo hanno perso la vita 13 personesono i corpi recuperati il 25 settembre. Il 26 settembre, appena un giorno dopo, l’OIM ha annunciato che alcuni dei 120 sopravvissuti ad una situazione di emergenza in mare, riportati in Libia dalla guardia costiera libica, hanno riferito che 15 persone sono annegate nel naufragio del loro gommone.  

Nei giorni scorsi, anche l’aereo di sorveglianza civile Seabird ha avvistato diverse imbarcazioni in difficoltà in mare, segnalando un coordinamento disfunzionale o assente su eventi di ricerca e soccorso, nonché vari casi di intercettazioni di naufraghi in mare, riportati poi forzatamente in Libia dalla sedicente guardia costiera libicaLa scia di morti non si ferma qui: un altro naufragio è avvenuto il 17 settembre scorso, a 25 miglia nautiche ad ovest della punta meridionale della Sardegna e una delle 14 persone a bordo risulta tuttora dispersa. 

Secondo il Progetto Missing Migrants dell’OIM, sono almeno 462 le persone morte nel Mediterraneo centrale dall’inizio dell’annoOltre al tragico bilancio dei morti e dei dispersi, che si fa sempre più drammaticamente pesante, sono da segnalare anche gli altissimi numeri dei respingimenti in corso verso la Libia, come riportato sempre dall’OIM. Tra il 15 e il 28 settembre, sono 993 le persone intercettate in mare dalla guardia costiera libica link link e riportate forzatamente in Libia, che non è un porto sicuro, secondo le norme del diritto internazionale. 

Gli stalli in mare raggiungono livelli critici e senza precedenti, in assenza di un sistema di sbarco europeo

Due settimane fa, nel 13esimo numero del nostro “Sguardo sul Mediterraneo” ribadivamo come gli stalli in mare di navi che hanno salvato persone in pericolo, oltre a prolungarne inutilmente le sofferenzemettono rischio la sicurezza dei sopravvissuti e quella dell’equipaggio. Il 17 settembre almeno 70 sopravvissuti, e poi, l’indomani, altri 48, si sono gettati in mare dalla nave spagnola Open Arms, nel tentativo di nuotare fino al vicino porto di Palermo, al largo del quale la nave era ancorata; la Open Arms era in attesa di istruzioni per sbarcare gli oltre 270 sopravvissuti salvati in tre diverse operazioni, tra l’8 e l’11 settembre. Due donne incinte e il marito di una di loro hanno dovuto essere evacuati per ragioni mediche dalla guardia costiera italiana. In totale, in 48 ore si sono gettate in mare più di 130 personesegno dei livelli di logoramento psico-fisico e di disperazione raggiunti dai naufraghi nell’attesa di un porto dove sbarcareTutte le persone gettatesi in acqua sono state fortunatamente recuperate dalla Guardia Costiera Italiana, con il supporto dell’equipaggio della Sea Watch 4, e sbarcate a terra o trasferite sul traghetto di quarantena Azzurra.  Finalmente, nel pomeriggio del 18 settembre, dopo 10 giorni di stallo, ai circa 140 sopravvissuti è statassegnato un luogo sicuro e sono stati trasbordati dallOpen Arms ad un’altra nave traghetto noleggiata dalle autorità italiane per la quarantena dei migrantilAllegra. L’equipaggio dellOpen Arms è attualmente in quarantena a bordo della Sea Watch 4. 

Ualtro difficile caso di stallo verificatosi nelle ultime due settimane riguarda la nave Alan Kurdi della ONG tedesca Sea Eye, che ha dovuto aspettare una settimana prima di essere autorizzata a sbarcare 125 sopravvissuti in un porto sicuro. In totale, erano 133 le persone salvate in tre diverse operazioni, 8 delle quali evacuate prima della fine dello stallo. Tra i sopravvissuti vi erano anche 62 minori e il bambino più piccolo aveva solo cinque mesi. Il 23 settembre, in assenza di risposte positive da parte delle autorità marittime alle ripetute richieste di un porto sicuro per sbarcare i sopravvissuti, Sea Eye ha annunciato che la nave stava facendo rotta verso Marsiglia, in Francia. A causa del deterioramento delle condizioni meteorologiche, mentre il governo francese aveva chiesto alle autorità italiane di consentire alla Alan Kurdi di attraccare nel “porto sicuro più vicino”, la nave di Sea-Eye è stata infine autorizzata a rifugiarsi al largo delle coste della Sardegna ricevendo successivamente l’istruzione di sbarcare i sopravvissuti ad Olbia, il 26 settembre scorsoDa quanto riferito dai mediaun meccanismo per il ricollocamento della maggior parte dei sopravvissuti dopo lo sbarco in Italia è stato concordato tra diversi paesi europei. 

La mancanza di assistenza e di risposta da parte delle autorità marittime competenti costringono equipaggi e superstiti a sopportare lunghe situazioni di stallo o, come nel caso di Alan Kurdi, a correre il rischio di viaggiare in alto mare per giorni. Attraversare il Mediterraneo dopo aver salvato naufraghi da situazioni di pericolo in mare può essere considerata solo l’extrema ratio. Un viaggio di diversi giorniper di più su navi non progettate per ospitare sopravvissuti per lunghi periodi di tempo, può comportare infatti rischi incalcolabili. Nella maggior parte dei casi, coloro che fuggono dalla Libia attraverso il Mediterraneo centrale hanno anche subito indicibili abusi: prolungare il loro calvario e infliggere inutili sofferenze, tenendoli in mare senza alcuna certezza di uno sbarco, mette a repentaglio la loro salute e la loro vitaFacilitare lo sbarco in un porto sicuro il più tempestivamente possibile è responsabilità dei Centri di Coordinamento del Soccorso più vicini alla posizione in cui i soccorsi hanno avuto luogo, con il supporto di qualsiasi altro asset se necessario. Si rende dunque assolutamente necessaria la riattivazione del cosiddetto “accordo di Malta” del settembre 2019, ovverosia la dichiarazione congiunta di intenti da parte degli Stati europei sulla attuazione di una procedura di emergenza controllata e un meccanismo di ricollocazione delle persone soccorse in marenello spirito della solidarietà europea. Non è concepibile continuare a operare caso per caso, per l’assegnazione di un porto sicuro navi che hanno sopravvissuti a bordo: occorre attivare d’urgenza un meccanismo europeo di sbarco regolare, coordinato e sostenibile. 

Ad altre due navi di ONG viene impedito di svolgere missioni di salvataggio nel Mediterraneo centrale

In seguito alla detenzione amministrativa delle navi umanitarie Alan Kurdi, Aita Mari, Sea-Watch 3 e della nostra Ocean Viking, la Sea-Watch 4 diventa la quinta nave di soccorso civile bloccata dalle autorità italiane in meno di cinque mesi. La nave è stata trattenuta a Palermo dalle autorità italiane il 19 settembre, dopo un controllo portuale durato 11 ore, sulla base degli stessi argomenti amministrativi e di sicurezza usati per il fermo delle altre naviLa Sea-Watch 4, gestita da Sea Watch e MSF, aveva appena concluso la sua prima missione in mare, seguita da uno stallo e dalla quarantena dell’equipaggio. Con un comunicato stampa, MSF ha dichiarato: “Ci accusano di salvare ‘sistematicamente’ persone, fino a contestare il numero eccessivo di giubbotti di salvataggio a bordo. Mentre il dovere di ogni nave di assistere imbarcazioni in difficoltà viene del tutto ignorato. 

Il 25 settembreanche Mediterranea ha annunciato che la sua nave, la Mare Jonio, è stata fermata nel porto di Pozzallo dalle autorità portuali, con due membri dell’equipaggio non autorizzati a imbarcarsi. 

Mentre in questi giorni terribili naufragi si ripetono al largo della Libia e la capacità di ricerca e soccorso guidata dagli Stati è disperatamente carente, le sistematiche detenzioni amministrative creano un vuoto allarmante nel Mediterraneo centrale che non può essere ignorato: sono in gioco vite umane! 

Ricerca e soccorso in mare e il nuovo patto europeo su asilo e migrazione

Il 23 settembre scorso, la Commissione europea ha presentato la sua proposta di un patto sulla migrazione e l’asilo, corredata di raccomandazioni “sulla cooperazione tra gli Stati membri per quanto riguarda le operazioni effettuate da navi possedute o gestite da enti privati a fini di ricerca e soccorso”.

La proposta dell’esecutivo europeo sarà ora oggetto di colloqui tra gli Stati membri, che dovrebbero durare mesi. In qualità di organizzazione europea di ricerca e soccorso, chiediamo che il discorso della Commissione europea sull’obbligo di salvare vite a mare, si trasformi in azioni concrete e immediate, come ripetiamo ormai da anni. È della massima importanza che la criminalizzazione degli interventi di soccorso e il blocco delle navi delle ONG operato attraverso una vera e propria persecuzione amministrativa, siano sospesi d’urgenza e non si ripetano in futuro. Inoltre, mentre l’Unione Europea richiama al rispetto del diritto internazionale, in realtà sta continuando a collaborare e a sostenere la cosiddetta guardia costiera libica nell’intercettazione in mare e il ritorno forzato in Libia. Riportare i sopravvissuti a situazioni di emergenza in mare in Libia, che non è un porto sicuro, dove i migranti sono oggetto di trattamenti inumani e degradanti, è contrario al diritto internazionale e marittimo. La cooperazione finanziaria con la guardia costiera libica – con le tasse dei contribuenti europei – deve essere immediatamente sospesa.

Photo credit: Laurin Schmid / SOS MEDITERRANEE

Il nostro “Sguardo” resta sul Mediterraneo. Per garantire testimonianza di quel che avviene nel Mediterraneo Centrale e per onorare i morti e i dispersi. Continuiamo a osservare e a raccontare.

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