Charlie è svedese. Marinaio professionista, curioso di natura, impegnato per vocazione. Strenuo difensore dei diritti dell’uomo, è al suo quinto imbarco a bordo dell’Aquarius.
«Vengo da Styrsö, un’isola svedese nei pressi di Göteborg. Sono un marinaio. Ho cominciato a navigare a 19 anni, un pò dappertutto e su tutti i tipi di imbarcazione: cargo, petroliere, pescherecci…Ho sempre avuto una grande curiosità intellettuale, un’ immensa voglia di capire il perché delle cose, di conoscere il mondo. Ho imparato molto dalle mie letture solitarie, come autodidatta. Da qualche anno, però, ho compreso i limiti di questa strategia e ho ripreso gli studi. Ho concluso un Master in Relazioni Internazionali sui temi della pace e dello sviluppo. C’era molta filosofia politica da studiare, davvero entusiasmante. Questo percorso mi ha permesso di trovare un filo conduttore e di mettere un pò di ordine alle conoscenze acquisiste nel tempo. Nel corso degli studi, ho sentito parlare di una nuova ONG svedese, Ship to Gaza (*)».
Impegno per i diritti umani
«Lo scopo era di infrangere l’embargo imposto all’area della striscia di Gaza, noleggiando un’imbarcazione per il trasporto di derrate alimentari e prodotti artigianali locali verso l’Europa. Volevamo testimoniare l’ingiustizia dell’embargo e la sofferenza che arreca ai cittadini di quel territorio. Abbiamo noleggiato 2 barche tra il 2012 e il 2015. E tutte e due le volte siamo stati fermati con molta violenza. Le barche sono state distrutte e i militanti mandati in prigione per qualche giorno. Paradossalmente, i soldati che ci arrestavano, avevano a loro volta paura perchè credevano fossimo dei pericolosi terroristi! Lo stesso bisogno di testimoniare mi ha spinto a restare a Gaza come volontario negli ospedali civili durante l’operazione militare israeliana chiamata « Protective Hedge », avviata nel 2014. Lo squilibrio tra le forze in campo è evidente e, quindi, volevo fornirne delle prove. Ho filmato molto. I miei video sono stati utilizzati dalla ONG Human Rights Watch e dall’ONU. Per me, questo non rappresenta prendere le parti dell’una o dell’altra coalizione, in senso politico. Si tratta di coscienza etica. Io credo che sia dovere e responsabilità di tutti difendere i diritti umani, laddove essi vengano violati. Se non lottiamo per chi ha bisogno del nostro aiuto, chi lotterà per noi quando saremo noi ad avere bisogno d’aiuto? A volte mi capita di immaginarmi circondato dai miei futuri bambini che mi chiedono: « dov’eri quando la gente era vittima d’ingiustizia ? Perchè non hai fatto nulla ?» Voglio avere la possibilità di rispondere a queste domande senza vergognarmi».
Al fianco dei migranti
«Per le stesse ragioni ho cominciato ad impegnarmi a difesa dei migranti sull’isola di Lesbo nel 2016. Guidavo una scialuppa di salvataggio per una Ong irlandese. Conducevamo le imbarcazioni dei migranti provenienti dalla Turchia verso i porti sicuri della Grecia. In quel periodo ho conosciuto Max, un membro del SAR Team di SOS MEDITERRANEE. Qualche mese dopo, ho ricevuto una sua mail nella quale mi invitava a raggiungere l’Aquarius. Sono al mio quinto imbarco (**). Ho avuto modo di svolgere ruoli differenti a bordo. Questa volta sono capo equipaggio. Nello specifico, sono responsabile della sicurezza sul ponte durante i salvataggi. Mi occupo della gestione delle scialuppe di salvataggio, assicurandomi che siano ben equipaggiate di giubotti di salvataggio e di dispositivi di galleggiamento. Inoltre, coordino l’equipe di accoglienza dei migranti, una volta che quest’ultimi sono giunti a bordo dell’Aquarius. Ma onestamente, non è l’incarico che preferisco : mi sento un pò come un pescatore sulla terraferma!
La differenza tra SOS MEDITERRANEE e altre associazioni di soccorso dei migranti, è il suo aspetto professionale che permette ai marinai e ai soccorritori di svolgere a pieno il loro mestiere, senza doversi occupare di compiti amministrativi. Tutti i membri del SAR Team e i membri di Medici senza Frontiere, con cui lavoriamo a bordo, hanno un solido background come marinai, soccorritori, personale sanitario…E questo è molto importante in quanto le operazioni di salvataggio in mare sono operazioni ad alto rischio. Bisogna essere capaci di lavorare sotto pressione. Dal punto di vista professionale, poi, è davvero gratificante lavorare con persone che provengono da esperienze professionali diverse, impariamo gli uni dagli altri. Ci scambiamo le conoscenze…Ma, soprattutto, penso che siamo a bordo per la stessa ragione : testimoniare le ingiustizie e agire per trovare delle soluzioni per coloro i cui diritti umani vengono violati. Non si tratta soltanto di impedire che delle persone muoiano in mare. C’è un problema globale sul tema delle migrazioni che non si risolverà costruendo dei muri».
*nave a Gaza
**ogni imbarco può durare dalle 6 alle 9 settimane, oppure prevedere 2 o 3 rotazioni da tre settimane.
Traduzione: Mariagrazia Pastore