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“ Ci avevano detto che sarebbe bastata un’ora per arrivare in Italia, ma presto abbiamo capito che eravamo perduti. Era buio e pensavamo che non ci avrebbe mai trovato nessuno.”

Ibrahim è tra le 650 persone salvate dalla Aquarius ieri da 4 gommoni sovraccarichi. Ha solo 18 anni, ma ha già trascorso da solo gli ultimi 7 anni della sua giovane vita, lontano dal suo paese e dalla sua famiglia, che lo aveva adottato come orfano di guerra in campo profughi in Guinea.

“L’Europa è stata sempre il mio sogno. Ho lasciato la Guinea perché la mia famiglia è povera e non potevano più prendersi cura di me.”

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Ibrahim è partito quando aveva 11 anni. Ha vissuto e ha lavorato in Mali ed in Algeria prima di raggiungere la Libia sei mesi fa. Non appena attraversato il confine, è stato derubato di tutto quello che aveva e ha dovuto lavorare gratuitamente nei cantieri.

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“ Ho lavorato in cambio di cibo” dice. “Dovevo mangiare, non mi hanno mai retribuito”.
Due notti fa, un amico che Ibrahim ha conosciuto al cantiere a Zabrata lo ha svegliato nel cuore della note e gli ha sdetto di correre alla spiaggia. “ Mi ha detto che era la mia occasione per scappare, che mi avrebbero fatto imbarcare senza dover pagare”.

Un’opportunità per scappare è quello che cercano le persone come Ibrahim quando si imbarcano su un gommone sulle coste della Libia. Alle volte gli viene detto che l’Italia è vicina e ci credono. La maggior parte delle volte, tuttavia, preferirebbero morire in mare piuttosto che restare lì in Libia.

“La Libia è l’inferno per noi africani”, dice Ibrahim. “ Per loro (i libici) siamo come animali, schiavi. Se cammini per strada, chiunque può prenderti e rivenderti”.

Questo inferno in terra è solo una parte del terribile viaggio di Ibrahim attraverso la vita. Nato nella Sierra Leone in guerra, ha perso i genitori quando era piccolissimo. E’ diventato un rifugiato in un paese povero, dove i suoi genitori adottivi non erano in grado di provvedere a lui. E’ per questo che ha lasciato la Guinea. Non per l’Europa ma per un altro paese africano e poi per un altro ancora. Non era solo un lavoratore migrante, ma anche un minore lavoratore migrante.

Tutto questo era accaduto ancora prima che Ibrahim raggiungesse l’inferno libico. Prima che diventasse maggiorenne. Prima che rischiasse la sua vita in mare. Prima di sbarcare in un paese che considera come un paradiso. Un paradiso, per Ibrahim, è un posto dove i ragazzi vanno a scuola e chi lavora viene pagato.

“Voglio iniziare una nuova vita e chiamare la mia famiglia in Guinea per dirgli che sto bene. Non sono mai riuscito a farlo dalla Libia.”

Una nuova vita è tutto quello che Ibrahim desidera, come migliaia di altri giovani uomini che Aquarius ha salvato.

Mi domando chi potrebbe negare una nuova vita ad un ragazzo che ha perso i suoi genitori in guerra, che è stato sfruttato durante l’infanzia e che è stato un lavoratore forzato in un paese straniero. Chi direbbe ad Ibrahim che dovrebbe essere riportato indietro in Libia dal mare nel quale è quasi annegato? Chi gli direbbe che non avrebbe mai dovuto lasciare il suo paese? Chi potrebbe dirglielo guardandolo negli occhi?

Purtroppo la risposta è che lo facciamo continuamente. Ogni volta che i nostri governi firmano accordi volti a trattenere i migranti in Libia, è Ibrahim che stiamo intrappolando lì. Ogni volta che diamo per scontato che i giovani africani sono solo migranti economici e che non hanno diritto a restare in Europa, è Ibrahim che stiamo rifiutando. Ogni volta che diciamo che dovrebbero rimanere a “casa loro”, è ad Ibrahim che stiamo negando il diritto ad un futuro migliore.

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Autrice: Tiziana Cauli
Foto: Kenny Karpov
Traduzione: Francesca Ciardiello

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