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Nel corso delle operazioni di patrolling nelle acque internazionali al largo delle coste libiche, il capitano, gli ufficiali e il team di SOS MEDITERRANEE si alternano sul ponte,  scrutando l’orizzonte nel tentativo di scorgere ogni segnale di una imbarcazione in difficoltà. Un gommone, una barca in legno, piccola o grande. «Quando scopri quel piccolo punto bianco o grigio all’orizzonte, il cuore si ferma. E’ una sensazione alle quale non mi potro’ mai abituare», una volta mi ha confidato Stephane Broc’h, marinaio professionista, membro del SAR Tam, la squadra di ricerca e soccorso di SOS MEDITERRANEE. A volte, infatti, vedi proprio quello che non avresti mai voluto.

Avevamo appena lasciato la Sicilia e avevamo ancora in mente l’immagine della pericolosa bellezza dell’Etna eruttante, della lava calda rossa che si riversava dalla cima del cratere. Mentre la barca stava lasciando il porto di Catania, tutti noi tenevamo gli occhi su quel sorprendente spettacolo di natura, augurandoci in cuor nostro che sarebbe stato di buon auspicio per la nostra nuova missione in mare. Ma la natura è anche ruvida, pericolosa e spietata.

E da li’ a poche ore, quando l’Acquarius aveva ormai raggiunto la SAR Zone, Till, membro del SAR Team, ha visto un corpo umano che galleggiava sul mare. Il viso rivolto verso l’acqua.

Era mattina presto, ci eravamo appena svegliati, avevamo fatto una colazione veloce. Come nella vita di tutti  i giorni. Stavamo chiacchierando e ridendo, prima della riunione del mattino nella stanza che é destinata ad essere l’area protetta per le donne e i bambini nel corso dei salvataggi. Avremmo dovuto  ricordare che a bordo di una nave di salvataggio, nel Mar Mediterraneo, la vita non é mai normale.

Il Coordinatore del SAR Team, Nicola, è entrato e ci ha dato l’annuncio. «Abbiamo appena visto un corpo morto galleggiante». E’ stato come se una doccia gelida fosse scesa su ognuno di noi. All’improvviso, il silenzio. La nausea. Naturalmente, non è la prima volta che dobbiamo affrontare la realtà della morte davanti a noi. Sicuramente, non sarà nemmeno l’ultima volta che dovremo vedere un cadavere, tutti noi ne siamo consapevoli. Tuttavia, una sensazione di impotenza mista a rabbia aveva invaso la stanza. Alcuni sembravano avere un atteggiamento più distaccato: «Se stai facendo questo lavoro, devi prendere la distanza da quello che succede», dicevano. Altri, invece, erano sconvolti: «Questi eventi non possono essere considerati normali, non é normale trovare dei cadaveri in acqua mentre stai solcando il mare e il Mediterraneo Centrale non dovrebbe essere considerato un’eccezione», ripetevano. Altri non potevano fare a meno di chiedersi: «Chi era quella persona? Qual era la sua storia? Cosa accadrà alla sua famiglia, agli amici? Come è successo ? »

La cosa più triste è che forse non avremo mai le risposte a tutte queste domande. Non conosciamo la sua storia. Probabilmente non la sapremo mai . Ma almeno la abbiamo trovata. E questa persona non è morta per nulla, non è scomparsa passando inosservata nel Mediterraneo. Le coordinate del corpo galleggiante sono state riportate immediatamente al Centro di coordinamento del salvataggio marittimo – MRCC di Roma. Più tardi, sotto il coordinamento dell’MRCC, un’altra nave di salvataggio, Vos Hestia, dotata di una camera mortuaria, ha recuperato il cadavere e lo porterà in Italia.

Era una donna. A quanto pare ha trascorso più o meno una settimana in acqua. È quindi probabile che sia stata una vittima della tragica Pasqua in mare, quando più di 8.000 persone sono state salvate e una dozzina non ce l’ha fatta.

«Il Mar Mediterraneo è uno dei luoghi più belli in cui sono stato. Ho un forte legame con l’oceano – dice Mary Finn, membro del Team di SAR – ma una parte di me guarda questo mare con tristezza e orrore. È un cimitero per tanti, e ognuno merita più di morire così ». Sì, sta succedendo adesso, nel Mar Mediterraneo, ai confini dell’Europa. Persone che muoiono. Corpi galleggianti. E le navi di soccorso delle ONG diventano canti da mare.

Testo : Natalia Lupi

Editing: Mathilde Auvillain

Photo credits: Kenny Karpov