Mi chiamo Anthony, ho 35 anni e vengo dalla Corsica. Sono entrato nella Marina Francese quando avevo 16 anni e sono rimasto con loro per 15. Nell’ultimo lavoro che ho svolto sono stato capitano della mia nave da soccorso nel sud della Francia. Quando non sono a bordo, vivo a Toulon. Questa è la seconda volta che salgo sulla Aquarius in qualità di pilota di RHIB, perché è in questo che sono specializzato.
Il mio primo soccorso con la Aquarius è stato piuttosto singolare perché era inverno, di notte era molto freddo e si è aggiunta pioggia intensa. Ci siamo diretti verso la barca in avaria. Ovviamente non erano le condizioni migiori per un’operazione di soccorso. C’è voluto molto tempo per mettere tutti in sicurezza e la prima cosa che emerge dal mio ricordo di quel soccorso è l’odore; l’odore. Quando sali a bordo della Aquarius per la prima volta puoi avere una vaga idea di ciò che ti aspetta. Puoi pensare “Per me non è un problema”. Raccogli informazioni sulla nave, sull’equipaggio; ti documenti circa la storia di SOS Méditerranée. Puoi avere visto foto delle operazioni di soccorso; conosci le regole della nave e così via. Ma lasciatemi dire: non si è affatto preparati!
Durante il mio lavoro ho effettuato spesso soccorsi, ma non era la stessa cosa. Non erano soccorsi che riguardavano masse di persone. Quando si lavora con la Aquarius, ci si trova di fronte a 200 o 500 persone in pericolo alla volta. Durante il mio lavoro precedente le persone in da aiutare erano di solito tre, massimo cinque. Quando sei a bordo della Aquarius, se ci sono solo 100 persone da recuperare, ci si sente sollevati.
Dunque, il mio primo ricordo è l’odore. Si sente odore di pelle; la pelle ha un’odore ed è speciale. Questo odore resterà nella mia mente e nel mio naso per il resto della vita; ne sono sicuro. Certo, abbiamo effettuato molti altri soccorsi dopo quella volta, ma il primo mi è rimasto impresso. Quelli successivi no. Il mio primo cadavere rimane nella mia mente e così il mio primo soccorso. Non riesco nemmeno più a ricordare quanti ne ho fatti con la Aquarius: 10, 11 o forse 12. Non lo so esatamente. Grandi operazioni di salvataggio o piccole, ma dopo la prima il lavoro è sempre lo stesso. Ci si dirige con il RHIB 2 verso la barca che sta affondando, si instaura un contatto, si parla con le persone, le si tranquillizza. C’è un piano d’intervento di massima nel caso ci siano persone in mare, ma in fondo è sempre lo stesso lavoro.
La Aquarius rappresenta la mia personale speranza. Perché per me non è solo un equipaggio, è una famiglia. Il capitano, Tongue, e gli altri. Rivedere quei visi è come tornare a casa e, quando i miei turni di rotazione a bordo terminano, vado a casa e disfo la valigia, ma già al secondo giorno la preparo di nuovo. Così, se SOS Méditerranée mi chiama, sono pronto. Per me questa prospettiva è importante. La Aquarius. Il mio contratto attuale termina a giugno, ma a settembre sarò di nuovo a bordo. Lo sento come un obbligo. Non lo faccio certo per denaro, perché non siamo pagati nel senso stretto della parola. Non è per piacere che lo faccio, perché, credetemi, non c’è niente di piacevole. Lo faccio perché posso dare di più. Ho più esperienza da spendere. Per me, questa collaborazione con la nave, è molto importante.
Da un lato, spero che non ci sia necessità che io torni a svolgere attività di ricerca e soccorso; che non ci siano più persone che annegano e che la funzione della Aquarius termini. Sarebbe una gran cosa. Ma dall’altro lato, desidero restare a bordo più a lungo possibile. Davvero. Spero di lavorare per altri 10 anni con la Aquarius. Certo, non dipende da me, la scelta è di SOS Médierranée, ma io sono pronto.
Il mio momento più bello a bordo è stato alla fine di un soccorso. Stavo pilotando il RHIB 2 e stavamo trasportando un uomo. Parlava Francese ed è venuto a dirmi “Posso chiederti una cosa?”. Ho risposto “Certo, di che si tratta?”. Mi ha detto “Qual è il tuo nome?”. Ho detto “Mi chiamo Anthony. Perché vuoi saperlo?”. Mi ha risposto “Non è per me, è per mia moglie”. Non ho capito subito. Poi è salita sul RHIB anche sua moglie e anche lei parlava Francese. Mi ha spiegato “Sono incinta e tu sei il primo volto che ho riconosciuto a bordo della piccola barca che veniva a salvarci. Ho visto il tuo viso, ho visto il tuo sorriso e ora sono salva. Voglio sapere il tuo nome perché il mio bambino è un maschio, lo chiamerò Anthony. Se sarà una bambina, si chaimerà Antonia”.
Per me, questo è il più bel ricordo del tempo che ho speso a bordo della Aquarius perché è stato molto di più che dire grazie. La riconoscenza è importante, ma non sono qui per questo. È qualcosa di diverso. Quando penso che sulla Terra c’è un piccolo Anthony o una piccola Antonia, penso anche che lui o lei sono lì grazie alla Aquarius. Non solo grazie a me, non solo grazie al SAR team, ma grazie a tutti coloro che lavorano qui. Per me il bambino è un figlio della Aquarius. Se non ci fosse la nave, il bambino sarebbe morto. Sua madre sarebbe morta e anche suo padre. Ed è per questo che per me la Aquarius è qualcosa di splendido. Salvare una vita è già di per sé stupendo, ma la Aquarius salva circa 10.000 vite o più. È semplicemente incredibile.
La squadra della Aquarius, questi uomini e donne sono semplicemente straordinari. In Francia alcuni cantanti ricevono una medaglia al valore per il servizio che prestano alla nazione. Io credo che sarebbe giusto darne una ad ogni componente dell’equipaggio della Aquarius, perché salviamo vite. Ci si sente meglio ad avere questa nave in mare. Non sono solo parole, è azione. Tutto questo è giusto.
Testo: Sarah Hammerl
Traduzione: Sara Gisella Omodeo
Photo credits: Patrick Bar/SOS MEDITERRANEE