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Dal 2016 ad oggi SOS MEDITERRANEE ha soccorso più di 41mila persone, provenienti da quasi 50 Paesi. Nel 2024, la Ocean Viking ha salvato 1.948 persone, un terzo delle quali provenivano dalla Siria. Tra di loro alcune erano donne o minori non accompagnati, mentre altri erano gruppi familiari e anziani. Abbiamo raccolto molte testimonianze di siriani e siriane che ci hanno raccontato della guerra, della violenza e della fame nel loro Paese e delle pericolose rotte che erano stati costretti a percorrere per sopravvivere. Alcuni dei loro viaggi sono durati mesi o addirittura anni. Nei giorni successivi al loro salvataggio, Hamza, Ranim, Mouna, Khaled, Hussein, Mohammad e Majd1 hanno condiviso con noi le loro storie. 

Cosa hanno vissuto in Siria? Perché sono fuggiti dalle loro case per andare in Libano, Iraq, Egitto o Libia? Come hanno affrontato torture e violenze prima di essere costretti a prendere il mare e lasciarsi alle spalle la loro vita?  

In questa breve raccolta “Un Paese in primo piano: Siria” abbiamo raccolto le voci di coloro che abbiamo incontrato nel corso delle nostre operazioni in mare.   

Mentre stavamo portando a termine questo report, il regime di Bashar al-Assad è crollato dopo 24 anni al potere. L’8 dicembre 2024, dopo la conquista della capitale siriana Damasco da parte del gruppo Hayat Tahrir al-Sham (HTS), l’ex presidente è fuggito in Russia. Da allora, l’HTS ha installato un governo di transizione per gestire il Paese, guidato dal primo ministro ad interim, Mohammed al-Bashir. 

Dopo la caduta del regime, molti siriani hanno iniziato a tornare a casa, con grandi speranze, nonostante un futuro incerto. 

Nel frattempo però, diversi Paesi europei hanno sospeso le richieste di asilo per i siriani, sia per quelli che stanno già cercando di costruirsi una nuova vita nel Paese che li ospita, sia per quelli che stanno rischiando la vita nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Le testimonianze e gli approfondimenti degli esperti condivisi in questo rapporto sono stati raccolti prima della caduta del regime di Bashar al-Assad. Le storie dei sopravvissuti rivelano le scelte difficili che li hanno portati ad attraversare il Mediterraneo, le violenze subite e la speranza che li ha fatti andare avanti. 

L’ANALISI DEGLI ESPERTI 

«Negli ultimi tredici anni, la Siria è stata divisa da uno dei conflitti più atroci del nostro tempo». Così, in un’intervista a SOS MEDITERRANEE, Marta Bellingreri, giornalista freelance esperta della regione e redattrice di SyriaUntold. «Tutto è iniziato con una rivoluzione pacifica che chiedeva diritti, libertà e dignità, che è stata violentemente repressa dalla famiglia al potere – l’ex regime di Bashar al-Assad – e dal suo apparato di sicurezza. In pochi anni, il conflitto è esploso violentemente, con l’intervento di Paesi stranieri come Turchia e Qatar, mentre Iran ed Hezbollah sostenevano il regime. Metà della popolazione siriana prebellica ha lasciato le proprie case. Cinque milioni di persone sono rifugiate all’estero, molte delle quali risiedono in Paesi vicini come Turchia, Libano e Giordania. Il popolo siriano ha continuato a soffrire sia all’interno che all’esterno del Paese: negli ultimi quattro anni, una grave crisi economica, unita a una crisi climatica e agricola, ha aumentato la povertà. Il 90% della popolazione ha ora bisogno di assistenza umanitaria, soprattutto coloro che sono stati sfollati all’interno del Paese. Anche al di fuori della Siria, in particolare in Libano e in Turchia, i rifugiati siriani si trovano ad affrontare condizioni disastrose e una crescente discriminazione, in particolare dopo la recente invasione del Libano da parte di Israele». 

«L’8 dicembre 2024 – continua Bellingreri – dopo 10 giorni di operazioni militari condotte dai gruppi armati dell’opposizione, il dittatore siriano Bashar al-Assad ha abbandonato il Paese, ponendo fine a 54 anni di dominio della sua famiglia. Milioni di siriani all’interno e all’esterno del Paese hanno festeggiato perché una delle principali richieste della rivoluzione è diventata realtà. Nonostante le numerose sfide che devono affrontare, la fragile speranza di un futuro migliore sta guidando questa fase di transizione. A meno di 24 ore dalla caduta del regime, alcuni Paesi europei hanno deciso di congelare le richieste di asilo, aumentando l’incertezza dei siriani diretti in Europa. Nel frattempo, molti rifugiati siriani che vorrebbero visitare il loro Paese, ora che il regime è caduto, non possono viaggiare a meno che non siano in possesso di un passaporto straniero”. 

CON LA LORO VOCE: PERCHÈ LE PERSONE HANNO LASCIATO CASA PROPRIA 

Hamza, 30 anni, è nato nel governatorato di Rif Dimashq – è stato soccorso il 17 luglio 2024. 

«Voglio raccontarvi com’era quando è iniziata la guerra in Siria. 

Conosco la storia di un ragazzino che nel 2010 ha scritto con lo spray un messaggio contro Bashar al-Assad sul muro della sua scuola. La scuola lo ha denunciato ai servizi segreti, che sono venuti a portarlo via. La famiglia ha chiesto di vedere il figlio e gli è stato restituito il corpo. Aveva segni di tortura e i suoi genitali erano stati legati insieme per impedirgli di andare in bagno. Quando la gente ha saputo cosa era successo, ha iniziato a rivoltarsi e i disordini si diffusero in tutte le città. La polizia arrestò i giovani coinvolti, li picchiò e li crocifisse per fermare i disordini. Chiunque vi partecipasse veniva colpito da proiettili. Irruppero nelle case delle famiglie e violentarono le donne davanti ai loro familiari, se riuscivano a trovarli. Se si resisteva, prendevano la famiglia e bruciavano la casa. Ma tutto questo non ha fatto altro che alimentare le rivolte. 

Coloro che partecipavano alle proteste non erano organizzati e nemmeno il governo lo era. Ci sono stati molti morti in tutto il Paese. Il governo ha chiesto aiuto a Hezbollah per contenere la violenza e ha dato più armi ai civili per provocare un conflitto tra di loro invece che contro il governo. Hanno accusato falsamente le famiglie e sapevano anche a che ora le famiglie erano a casa durante il Ramadan. Hanno usato quel momento per entrare nelle loro case e ucciderli. Quando le persone cercavano di nascondersi o di fuggire, le case venivano bombardate e le persone uccise. Anche la fame veniva usata come arma. Un chilo di riso costava quanto un’automobile. Uno dei miei cugini è stato ucciso quando è andato a comprare il riso, proprio così. Sia il governo che i gruppi ribelli facevano pressione su mio padre e su di me perché ci unissimo a loro. Ma noi non volevamo combattere. 

Nel 2012 la mia famiglia ha deciso di fuggire in Libano. Allo stesso tempo, mio fratello, che era nell’esercito, ha disertato. È stato costretto ad andare nel suo villaggio per uccidere delle persone. Ma si è rifiutato di farlo. Hanno bombardato la sua città natale, così è dovuto fuggire. Ha pagato il suo superiore 3000 dollari perché gli desse 24 ore di tempo prima di informare le autorità della sua diserzione». 

Ranim, 27 anni, viene da Raqqa. È stata soccorsa da una barca di legno stracarica con i suoi due gemelli di 8 anni il 9 luglio 2024. 

Ranim e i suoi figli hanno vissuto sotto il dominio dello Stato Islamico (ISIS) per tre anni, tra il 2014 e il 2017. «È stato un regno di terrore. Non potevo uscire di casa senza essere completamente coperta, compresi gli occhi. Se uscivo di casa senza il burqa, mio marito veniva punito e messo in prigione. Era impossibile fuggire, era troppo pericoloso». 

Khaled, 15 anni, viene da Deraa. Viaggiava da solo ed è stato soccorso dall’equipaggio della Ocean Viking il 24 ottobre 2023. 

«Vengo da Deraa, in Siria. Sono nato nel 2008. Dopo l’inizio della guerra in Siria, i miei genitori, le mie due sorelle e io ci siamo trasferiti in Germania, dove sono rimasto dal 2013 al 2016. I miei genitori pensavano che la situazione sarebbe stata migliore in Siria dopo qualche anno, così siamo tornati. 

Ma non possiamo vivere a Deraa. Il mio Paese è in una situazione molto brutta a causa della guerra e ogni giorno vengono uccise tante persone. Non c’è futuro per me lì. Per questo ho deciso di lasciare la Siria, anche se i miei genitori hanno cercato di fermarmi. Alla fine hanno accettato e sono partito con mio cugino. Ho attraversato l’Egitto per arrivare in Libia». 

Mouna ha 53 anni ed è nata a Damasco. È stata soccorsa da una piccola barca di legno in pericolo dall’equipaggio della Ocean Viking il 31 luglio 2021. 

«Non volevo lasciare Damasco. Due dei miei figli hanno lasciato la Siria e sono fuggiti in Libia a causa della guerra. Nel 2014, qualcuno ha fotografato mia figlia di 17 anni durante una manifestazione pacifica. Volevano arrestarla. Non posso esprimere quanto sia importante mia figlia per me. 

Mio marito è rimasto in Siria. Un giorno un razzo ha colpito la nostra casa a Damasco. Per fortuna sono stati avvertiti in tempo e mio marito non era dentro. Dopo l’attacco missilistico, abbiamo deciso che anche mio marito sarebbe dovuto venire in Libia». 

Hussein, 56 anni, viene da Hama. È stato soccorso il 9 luglio 2024. 

«Nel mio Paese abbiamo subito due guerre. La prima è quella che tutti conoscete e di cui avete sentito parlare. Ma non voglio parlare della prima guerra. È troppo dolorosa da ricordare. Nella mia città quella guerra è finita. Oggi stiamo combattendo un’altra guerra: la fame. È come un fuoco che brucia tutto e tutti». 

In Siria, Hussein ha studiato e lavorato per anni come infermiere, così come sua moglie, infermiera di cardiochirurgia rimasta in Siria. «Oggi lo stipendio di un’infermiera è di 15 dollari al mese». I suoi due figli maggiori sono medici. «Anche loro sono rimasti in Siria, disoccupati, perché è semplicemente impossibile trovare un lavoro». 

Qualche anno fa, Hussein ha deciso di tentare la fortuna e di aprire una scuola di lingue nella sua città, nel tentativo di mantenere la famiglia e di pagare gli studi universitari dei figli più piccoli. Ma non ha funzionato. «Nessuno poteva permettersi di pagare i corsi di lingua, e io non potevo pagare gli stipendi degli insegnanti o l’affitto della scuola». Ha dovuto chiudere. Così decise di andarsene: «Nessuno nella mia città – almeno nessuno che io conosca – aveva mai provato questo viaggio. Non sapevo quanto potesse essere terribilmente pericoloso, ma ero disperato e l’ho fatto». 

LA TRATTA MIGRATORIA E I PAESI OSPITANTI: L’ESEMPIO DEL LIBANO 

Molti siriani – racconta ancora la giornalista Marta Bellingreri – si sono prima rifugiati nei Paesi vicini, come Libano, Iraq, Egitto, Turchia e Giordania. La maggior parte dei naufraghi soccorsi nel 2024 ha raccontato al nostro equipaggio di essere rimasta in Libano per mesi o anni, fino a quando la situazione non si è deteriorata, non lasciando loro altra scelta che fuggire ancora una volta più lontano. 

Hamza: Quando le persone fuggono dalla Siria al Libano, vengono controllate al confine e spesso umiliate. Noi siamo in Libano da 10 anni. Ma la situazione è difficile. C’è molta segregazione tra libanesi e siriani. A volte fanno scavare delle fosse in un cimitero e li seppelliscono vivi. Non per ucciderli, ma solo per spaventarli. Senza un buon rapporto con la popolazione locale, non si ha alcuna possibilità. Ero in Libano con la mia famiglia. Ho una moglie e due figli, un maschio e una femmina. 

La gente ci diceva che se stavamo soffrendo, dovevamo rivolgerci alle Nazioni Unite. Ma quando lo abbiamo fatto, abbiamo scoperto che il personale locale delle Nazioni Unite era libanese e che anche loro credevano nella segregazione. Non volevano aiutarci perché venivamo dalla Siria. Diversi gruppi ci hanno minacciato e non abbiamo potuto vivere una vita normale. Spesso non potevo pagare le mie medicine. In diverse occasioni non mi è stato pagato lo stipendio alla fine del mese. Se fossi stato pagato per il mio lavoro, sarei rimasto in Libano. 

La mia famiglia è fuggita in Iraq nel 2022 perché non potevamo più vivere in Libano. Abbiamo chiesto un prestito a qualcuno per fuggire. Le cose sono molto diverse in Iraq, migliori che in Libano. Ma non ho guadagnato abbastanza per sopravvivere. Mia moglie e i miei figli sono ancora in Iraq, ma un amico mi ha pagato la fuga in Europa». 

Ranim ha divorziato dal marito dopo la liberazione di Raqqa ed è volata a Beirut. «Stare da sola in Siria con i miei due figli è stato difficile. I miei genitori erano già a Beirut, così ho deciso di raggiungerli. Ho trascorso cinque anni in Libano». Ha lasciato il Libano con i suoi gemelli all’inizio del 2024, dopo che le era stato negato il ricongiungimento familiare con il fratello nei Paesi Bassi. «Mio fratello minore si è stabilito nei Paesi Bassi e abbiamo chiesto il ricongiungimento familiare. Io e i miei genitori abbiamo ottenuto l’autorizzazione a ricongiungerci con lui, ma sorprendentemente i miei figli no. Non potevo lasciarli, né potevo rimanere da sola in Libano senza il sostegno della mia famiglia. Non avevo altra scelta che intraprendere un viaggio pericoloso e volare a Bengasi, in Libia». 

DA VIOLENZA A VIOLENZA: INSTABILITÀ NEL MEDIO ORIENTE E IL VIAGGIO VERSO LA LIBIA 

Nel corso degli anni, abbiamo raccolto numerose testimonianze, avvalorate da articoli di diverse ONG e agenzie delle Nazioni Unite, che rivelano come le violazioni e gli abusi dei diritti umani siano ancora una realtà diffusa nel Mediterraneo centrale e lungo la rotta migratoria, soprattutto in Libia. Detenzione in condizioni disumane, estorsioni sotto tortura, esecuzioni sommarie, lavori forzati e violenze sessuali si verificano nei centri di detenzione e nei campi di lavoro, ai posti di blocco e persino nelle case private. Questi abusi possono accadere a chiunque: donne e ragazze, uomini e ragazzi. La violenza è spesso usata da milizie, polizia, contrabbandieri e guardie costiere per estorcere denaro. I sopravvissuti spesso subiscono abusi ripetuti da parte di più autori, con scarse possibilità di ottenere giustizia. 

Hamza: «Sono andato a Tripoli. Un giorno ero in piedi con un piede sul marciapiede e l’altro sulla strada. Un’auto ha sbandato e mi ha colpito. Non si è fermata e sono sicuro che l’ha fatto di proposito. L’ospedale era molto vicino, ma quando sono arrivato lì, si sono rifiutati di aiutarmi. Così sono andato in un altro posto dove l’hanno fatto. In seguito, un contrabbandiere mi ha avvicinato mentre bevevo in un bar sulla strada. Mi ha detto che poteva aiutarmi al prezzo di 6000 dollari. L’uomo mi ha portato in una casa con dei container sul retro. Ho trascorso lì un mese. Avevamo pochissimo cibo e acqua e ci ha preso i telefoni». 

Mouna: «Siamo rimasti tutti in Libia. Mia figlia ha sposato un siriano. Un giorno, mentre mio genero stava lavorando, è stato attaccato da uomini armati come miliziani. Gli hanno sparato alla schiena. 

Poco dopo, mio marito e mio figlio minore sono stati rapiti. I rapitori hanno chiesto un riscatto. Hanno riportato mio figlio e mio marito da noi, ma avreste dovuto vedere in che stato erano. Erano coperti di sangue. Ci siamo spaventati e siamo andati a Tripoli, nascondendoci nel cuore della capitale. 

In Libia non ci sono medicine, non c’è assistenza sanitaria. Abbiamo speso tutti i nostri soldi per cercare di far avere al mio genero le cure mediche e loro lo hanno lasciato morire. Abbiamo supplicato le agenzie delle Nazioni Unite, abbiamo raccontato tutto e abbiamo cercato di farlo curare in Egitto o in Tunisia, ma ci hanno detto: ‘No, rimanete in Libia’. 

Se tornassi in Siria, verrei arrestato all’aeroporto perché i miei figli stanno scappando dal servizio militare. Mi arresterebbero per fare pressione sui miei figli affinché tornino». 

Ranim e i suoi gemelli hanno trascorso tre mesi in Libia. Sono stati collocati in una cosiddetta “casa di collegamento” condizioni spaventose. «Avevo solo un pasto al giorno». I tre hanno dovuto aspettare per molto tempo prima di essere messi su una barca per lasciare la Libia. 

Hussein ha lasciato il suo Paese all’inizio di maggio per andare in Libano e poi in Europa, passando prima per l’Egitto e volando da lì a Bengasi, in Libia. Dopo che i contrabbandieri lo hanno portato a Bengasi, è stato trasportato per 1400 km fino a Tripoli nel retro di un pick-up con altre cinque persone, nascosto sotto pesanti bagagli sotto il sole cocente. 

È stato detenuto per 60 giorni in un complesso a Tripoli con circa 80 altre persone: «Ho dovuto sdraiarmi su un materasso sporco sul pavimento e l’unica cosa che mangiavo ogni giorno era il tonno. […] I contrabbandieri non usavano la violenza contro di me, ma io ne ero testimone. Ricordo che un giorno sono arrivati e hanno letteralmente calpestato le persone che dormivano per terra, come se fossero ceci». 

Non poteva uscire: «In Libia i siriani sono un bersaglio: i criminali e i contrabbandieri ci considerano più ricchi delle persone provenienti da altri Paesi, quindi ci rapiscono e chiedono un riscatto alle nostre famiglie perché sanno che pagheranno. Laggiù, le persone non sono viste come persone. Sono soldi, sono affari». 

L’ULTIMA VIA PER LA SOPRAVVIVENZA: ATTRAVERSARE IL MARE 

C’è una frase che si sente sempre a bordo della Ocean Viking: «Preferisco morire velocemente in mare che lentamente in Libia». Indipendentemente dai pericoli, le persone fuggono via mare perché è l’unica via di fuga.  

Mouna, Hamza, Ranim e Khaled ci hanno raccontato la loro esperienza.  

Hamza: «Molti siriani salgono su barche che sono in pessime condizioni, con motori difettosi. Dopo 20 km la barca affonda e le persone vengono lasciate morire». 

Khaled: «Ho cercato di fuggire dalla Libia sette volte prima che voi ci salvaste sull’Ocean Viking. La prima volta è stata su un peschereccio proveniente dalla parte orientale della Libia dopo aver attraversato il confine dall’Egitto, ma la guardia costiera libica ci ha respinto e siamo stati rimandati in prigione perché le milizie e i trafficanti sono amici delle autorità. 

La seconda volta che ho cercato di fuggire dalla Libia è stato da Tobruk nel giugno 2023. Volevo salire su un grande peschereccio con 900 persone in attesa di imbarcarsi. Io non sono potuto salire perché c’erano troppe persone e non c’era posto, ma il mio amico sì. La nave partì… sapete, questa è la nave che affondò al largo della Grecia [l’ “Adriana”, strage di Pylos]. Il mio amico è morto in quel naufragio». 

Ranim: «Ora c’è molta polizia libica in mare. Quando ci hanno portato al largo, non avevamo i giubbotti di salvataggio. Sapevo che la traversata era pericolosa. Ma non avevo scelta. Avevo paura, ma dovevo essere forte per i miei figli. Voglio stare con i miei genitori e voglio che i miei figli abbiano un futuro dignitoso». 

Mouna: «I miei figli in Libia hanno bambini piccoli. Non dovrebbero attraversare il mare. Ma io sono malata e se non vado morirò comunque. Così ho deciso di partire. Ho dato al trafficante 2.500 dollari per il mio primo tentativo, ma la guardia costiera libica ci ha fermato. Poi mi hanno messo in prigione. Le parole non possono descrivere come è stato. Volevano 200 dollari per farmi uscire. Quella prigione… 

Mi sono detta: “Ne ho abbastanza, torno in mare”. I contrabbandieri ci avevano promesso due motori, un telefono satellitare, un GPS e giubbotti di salvataggio. Non c’era nulla. Avevano promesso di darci tutto una volta in mare. Hanno continuato a spingerci e avevano tutti delle pistole. Qualcuno deve essere stato troppo lento o li ha fatti arrabbiare in qualche modo, perché uno di loro ha gettato l’acqua a terra e ha detto: “Niente acqua per voi”. 

Dopo quattro ore di navigazione, il motore iniziò a bruciare. Ha preso fuoco e la mia gamba si è ustionata. Siamo riusciti a spegnere l’incendio e un uomo sulla barca ha fatto funzionare il motore per un po’, ma stavamo girando in tondo. La barca ha imbarcato acqua, mista a carburante. Dopo 10 ore riuscimmo a vedere le piattaforme petrolifere. Iniziammo a gridare e salutare, e poi siete arrivati voi dietro di noi. Pensavamo foste la guardia costiera libica, ma abbiamo detto: “Stiamo morendo comunque, non abbiamo acqua. Se vengono, che vengano”. Ma eravate voi. 

“Ho attraversato il mare perché voglio vivere. Voglio vedere i miei nipoti crescere. Mi chiamano ‘cara nonna’. Quando vedete vostra madre, abbracciatela e datele un bacio». 

CONCLUSIONI 

«Nel 2023, i terremoti tra Turchia e Siria – concludeva in un’intervista del l’esperta di Siria Marta Bellingreri, parlando prima della caduta di Assad – hanno causato un’altra grande crisi, ma hanno anche dimostrato che, nonostante tutte le sofferenze, l’alto costo della vita e la continua repressione politica, la solidarietà esiste ancora tra i siriani». Nello stesso anno, un movimento popolare nella città meridionale di Sweida, che chiedeva diritti e libertà economiche e politiche, ha dimostrato come lo spirito della rivoluzione non sia stato completamente schiacciato. Ma la stragrande maggioranza delle persone, se ne avesse la minima possibilità, sceglierebbe ancora di andarsene, e i numeri dei siriani che arriveranno in Europa via mare nel 2023-2024 sono la prova che il brutale dittatore che sostiene di aver vinto non ha risolto nessuno dei problemi del popolo e che il regime è sopravvissuto solo grazie ai suoi alleati». 

In seguito alla caduta del regime, diversi governi europei hanno annunciato la sospensione delle richieste di asilo per i siriani, compresi quelli che hanno intrapreso la traversata del Mediterraneo. 

Questa decisione ha scatenato un intenso dibattito sulla sicurezza dei rimpatri e sul fatto che la Siria sia pronta a reintegrare efficacemente la sua popolazione sfollata. L’UNHCR3 ha preso posizione invitando gli Stati a garantire ai richiedenti siriani il diritto di chiedere asilo, sottolineando la necessità di una protezione continua fino alla stabilizzazione della situazione in Siria. 

La caduta del regime di Bashar al-Assad a dicembre 2024 potrebbe potenzialmente portare a cambiamenti significativi nelle dinamiche della migrazione siriana attraverso il Mediterraneo. Tuttavia tali cambiamenti rimangono incerti e dipenderanno dalle condizioni politiche, sociali ed economiche che emergeranno.  

Qualunque cosa accada, SOS MEDITERRANEE continuerà il suo lavoro, monitorando la situazione e salvando vite in mare.