Milano, 23 dicembre 2021 – 114 sopravvissuti sono bloccati a bordo della Ocean Viking senza alcuna soluzione certa per il loro sbarco, una settimana dopo essere stati salvati nel Mediterraneo centrale. Gli stati di ansia ed esasperazione sono sempre più diffusi tra le persone soccorse. SOS MEDITERRANEE chiede alle autorità marittime di assegnare un porto per il loro sbarco senza ulteriori ritardi.
Dopo due settimane di cattive condizioni meteorologiche che impedivano le partenze dalle coste della Libia, il tempo è migliorato e le partenze dei gommoni artigianali sono ricominciate dalla settimana scorsa. Più di 160 persone sarebbero morte in due naufragi al largo della Libia. Le navi civili di salvataggio come la Geo Barents, la Sea-Eye 4, la Rise Above e la Ocean Viking hanno soccorso oltre 800 persone da diverse imbarcazioni in difficoltà. All’alba del 16 dicembre, la Ocean Viking – la nave di soccorso che SOS MEDITERRANEE noleggia in collaborazione con la Federazione Internazionale della Croce e Mezzaluna Rossa (IFRC) – ha soccorso 114 persone da un gommone in difficoltà in acque internazionali al largo della Libia. Tra loro ci sono donne che viaggiano da sole, due bambini sotto gli otto anni e due neonati. Una settimana dopo il loro salvataggio, sono ancora in mare senza alcuna certezza sul loro sbarco.
Nonostante la massima cura prestata dalle squadre della Ocean Viking, i segni di stanchezza, esaurimento e ansia stanno aumentando tra i sopravvissuti. La loro disavventura in mare deve finire: l’interminabile incertezza che arriva dopo aver rischiato di morire deve giungere al termine. Secondo il diritto marittimo, i soccorsi sono completi solo quando i sopravvissuti sono sbarcati in un Luogo Sicuro (Place of Safety). La durezza delle condizioni climatiche invernali in mare, con basse temperature e umidità, rappresentano un’ulteriore difficoltà.
Durante l’attesa di un Porto Sicuro, alcuni dei naufraghi hanno condiviso parte delle loro storie, raccontando esperienze strazianti di violenze e abusi in Libia. Un minore, Asante (nome di fantasia), ha detto a uno dei membri del nostro team: “In Libia, puoi essere ucciso solo per un telefono. La gente veniva di notte con i coltelli e li metteva sul mio corpo così [mostrando il gesto di qualcuno che preme un coltello sulla pancia], chiedendo il mio telefono. Lo usavo solo per chiamare la mia famiglia, ma lo prendevano, ogni volta. Non si dorme mai al sicuro in Libia. […] È stato molto difficile. […] Stare in Libia non è sicuro”.
Makbyel aveva 11 giorni quando è stato salvato. Ad oggi, ha passato quasi metà della sua vita in mare. Dopo il salvataggio, sua madre gli ha dato un secondo nome: “Sos”. A causa di un parto molto difficile in Libia e del pericoloso viaggio affrontato dopo, soffriva molto quando il nostro team medico si è preso cura di lei dopo il salvataggio. È estremamente vulnerabile, esausta e ha bisogno di essere curata in un ambiente sicuro, come l’altra neomamma a bordo, il cui bambino aveva 3 settimane quando è stato salvato dalle squadre della Ocean Viking.
“Con questo freddo e in spazi ristretti, la situazione può solo peggiorare di ora in ora per i sopravvissuti a bordo della nave”, dice Luisa Albera, coordinatrice della ricerca e del soccorso a bordo della Ocean Viking. “Una nave, per quanto ben equipaggiata, può essere solo una soluzione a breve termine. Imporre un periodo prolungato in mare a persone che hanno già sofferto così tanto mette ulteriormente a rischio la loro salute fisica e mentale. In questi ultimi tre anni, siamo stati ripetutamente bloccati in mare con dei naufraghi a bordo: conosciamo troppo bene le implicazioni di queste situazioni difficili. Portano a gravi conseguenze, ad un acuto disagio psicologico e ad un crescente deterioramento della salute fisica. Dobbiamo sbarcare subito”.
Come previsto dal diritto internazionale, la Ocean Viking ha inviato sei richieste di Porto Sicuro alle autorità marittime competenti. Chiediamo agli stati europei di non chiudere un occhio sulla situazione delle persone salvate e di assegnare porti sicuri ai sopravvissuti attualmente a bordo delle navi di soccorso delle ONG in attesa di sbarcare.