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Da quando SOS MEDITERRANEE ha iniziato le sue operazioni nel 2016, le donne soccorse dalla Ocean Viking e dalla Aquarius sono state 5,137, ossia circa il 15% delle 34.074 persone soccorse nel Mediterraneo centrale dalle nostre squadre. Mentre SOS MEDITERRANEE si prepara per una nuova missione in mare, Pauline, ostetrica di SOS MEDITERRANEE incaricata di occuparsi delle donne e dei bambini salvati dalla Ocean Viking nell’aprile 2021, ci parla dell’assistenza medica e del primo soccorso psicologico forniti a bordo. La prossima sarà la prima missione congiunta con la Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (IFRC), il nostro nuovo partner. L’IFRC fornirà supporto post-soccorso, come assistenza medica, supporto psicologico, attività di protezione e beni di prima necessità alle persone che sono state portate in sicurezza a bordo dell’Ocean Viking. Pauline ci parla dei bisogni di donne e bambini soccorsi dalla nostra squadra dal punto di vista medico e delle attività principali che saranno presto intraprese dalla FICR. 

 

1/ Qual era lo stato di salute delle donne che hai incontrato a bordo della Ocean Viking nell’aprile 2021? 

La maggior parte delle donne soccorse da SOS MEDITERRANEE a partire dal 2016 ha compiuto lunghi viaggi attraverso diversi paesi. Sono state spesso esposte a diversi tipi di violenza: fisica, sessuale, psicologica e/o relativa al lavoro forzato. Le ragazze e le donne che viaggiano senza un genitore o un partner maschile sono particolarmente esposte al rischio di finire vittime della tratta di esseri umani o di sfruttamento sessuale. Questo tipo di violenza causa sofferenze immense, la perdita di dignità e conseguenze mediche e psicologiche sia immediate che a lungo termine. Le donne possono contrarre infezioni sessualmente trasmissibili o affrontare gravidanze indesiderate. La maggior parte non ha avuto accesso alle cure mediche per diversi mesi, o addirittura anni. Infezioni non trattate e gravidanze indesiderate possono portare a complicazioni mediche, mentre tra le conseguenze per la salute mentale ci sono ansia, depressione, comportamenti di dipendenza e tendenze all’isolamento sociale che talvolta possono portare a comportamenti suicidi. Anche le donne incinte sono particolarmente vulnerabili, poiché di solito, durante il viaggio, non hanno accesso alle cure preventive e di monitoraggio della gravidanza. 

La maggior parte delle donne che ho incontrato a bordo della Ocean Viking lo scorso aprile mi ha raccontato di aver subito diverse forme di violenza in Libia e sulla rotta migratoria. Sono arrivate da noi in stato di profondo stress e stanchezza, presentando, oltre al resto, sintomi direttamente legati alla traversata: mal di mare, disidratazione, dolori diffusi al corpo, soprattutto a causa della posizione a cui erano costrette nella barca sovraffollata da cui le abbiamo soccorse. La maggior parte di loro ha riferito di essere stata picchiata per costringerla a salire a bordo della barca improvvisata. Alcune presentavano bruciature di carburante. La miscela di acqua salata e carburante che si crea sul fondo di questi gommoni, difatti, è estremamente corrosiva per la pelle: ustioni di questo genere possono richiedere un trattamento medico per diversi giorni, addirittura settimane. 

Alcune donne erano in compagnia di bambini piccoli, anch’essi esposti alla violenza di questa rotta migratoria. Ho avuto modo di osservare l’impatto di tale violenza sulla loro salute mentale man mano che si rilassavano, aprendosi gradualmente tra di loro e ai nostri team dopo alcuni giorni a bordo della Ocean Viking. 

 

2/ Quali sono le principali cure mediche e psicologiche che tu e il tuo team medico siete stati in grado di fornire? 

Una volta terminata la fase di evacuazione dall’imbarcazione in pericolo e fatti salire i sopravvissuti a bordo della Ocean Viking, uno dei primi aiuti che possiamo offrire a queste donne e a questi bambini è permettere loro di riposare e sentirsi al sicuro in un luogo dove non devono temere per la loro vita. Abbiamo un rifugio dedicato a loro sul ponte di poppa, dove ci assicuriamo di garantire la giusta privacy. 

 

Siamo in grado di fornire anche un’assistenza di pronto soccorso grazie una base medica allestita sul ponte di poppa. Questo presidio medico è simile a un mini-ospedale. Lì accogliamo le donne incinte per una consultazione al fine di monitorare la loro gravidanza, identificare eventuali patologie e prevenire complicazioni. Disponiamo di tutte le attrezzature necessarie per gestire il parto e fornire una prima assistenza al neonato, e siamo inoltre in grado di stabilizzare i pazienti che necessitano di cure specifiche a terra. Possiamo segnalare questi pazienti alle autorità sanitarie al momento dello sbarco, oppure richiedere l’evacuazione medica alle autorità marittime a seconda dell’urgenza della situazione. 

Come è prassi per ogni missione in mare, lo scorso aprile abbiamo parlato alle donne sopravvissute (ma anche agli uomini) del sostegno che possiamo offrire alle vittime di violenza sessuale. Oltre all’assistenza medica, infatti, se l’aggressione è avvenuta entro cinque giorni dal loro arrivo sulla nave possiamo somministrare alle donne un contraccettivo di emergenza per prevenire gravidanze indesiderate. Abbiamo anche trattamenti per prevenire le infezioni a trasmissione sessuale (HIV, epatite B e altre malattie sessualmente trasmissibili). 

Infine, sull’Ocean Viking le donne possono usufruire di un luogo in cui parlare ed essere ascoltate. Anche se lo spazio a bordo della nave è limitato, il rispetto della riservatezza di tali scambi è per noi fondamentale. 

3/ Sei appena tornata dalla tua prima missione in mare. Qual è l’esperienza che ti ha segnata di più? 

Oltre alle cure mediche, vogliamo offrire uno spazio di ascolto e un luogo sicuro dove le parole sono svincolate dai giudizi e dove ognuno può liberarsi di ciò che desidera lasciare indietro. A volte avevo la sensazione che il ponte dell’Ocean Viking fosse un ricettacolo di emozioni e ricordi, spesso quasi indicibili. Alcune donne, ad esempio, mi hanno confidato una parte della loro storia di cui non avevano mai parlato prima. Penso che sia importante che si sentano libere di condividere ciò che spesso non possono raccontare alle loro famiglie o ai loro cari, e che forse permetterà loro di lasciare la nave un po’ più leggere per continuare il viaggio della loro vita. 

Prima di salire sulla nave avevo in mente un’immagine: l’idea che in un piccolo spazio un po’ fuori dal tempo avrei condiviso frammenti di vite, emozioni, storie, sguardi, gesti, sorrisi… Pur dovendo convivere con storie terribili, e nonostante i disagi e le vicissitudini vissute, queste donne conservano la speranza. Ciò richiede un coraggio e una forza che mi sconvolgono. Per alcune la speranza è quella di vivere un giorno in un Paese pacifico, per altre è quella di studiare o di permettere ai propri figli di uscire dalla spirale di violenza in cui sono cresciuti. 

Vedere queste donne e questi bambini aprirsi con il passare dei giorni a bordo, sorridere e confrontarsi, è per me un ricordo molto intenso. 

Il racconto di una donna: “Quest’uomo l’ha costretta a lavorare a casa sua riducendola in uno stato di schiavitù sessuale” 

A bordo dell’Ocean Viking ho incontrato una donna di 22 anni del Camerun, che chiamerò Leïla per rispettare il suo anonimato. Mi ha raccontato parte di quello che ha passato in Libia.  

Pensando di andare in Algeria, Leïla è stata invece portata in Libia contro la sua volontà. Appena arrivata, è stata costretta a prostituirsi. Quando ha cercato di difendersi e di fuggire è stata minacciata di morte, ma dopo un po’ è riuscita ugualmente a fuggire. Ha cercato di lasciare la Libia via mare, ma la guardia costiera libica ha intercettato la sua barca. Tutte le persone a bordo, compresa Leïla, sono state rimpatriate con la forza in Libia.  

Dice di essere stata poi portata in un centro di detenzione in una città costiera. Lì, un uomo l’ha presa e l’ha portata a casa sua dopo averla fatta sdraiare e averla legata sul sedile posteriore dell’auto, in modo che non sapesse dove veniva portata. Quest’uomo l’ha poi costretta a lavorare come tuttofare a casa sua e l’ha abusata sessualmente, finché un giorno, senza che lei sapesse esattamente perché, l’ha liberata.  

Leïla è fuggita via mare tre settimane dopo.