A bordo dell’Aquarius
Madeleine Habib, è la nuova Sar Coordinator a bordo della nave di salvataggio di SOS MEDITERRANEE. Dopo tre settimane di esercitazioni, Madeleine ha preso il comando dell’Aquarius, il 9 settembre 2017, diventando la prima donna Sar Coordinator dall’inizio della missione della nave nelle acque del Mediterraneo Centrale.
La zona SAR non rappresenta un contesto del tutto nuovo per lei. Nel 2015 e nel 2016 è stata capitano della Dignity I, una delle navi di salvataggio di Medici Senza Frontiere attive nel Mediterraneo Centrale. Prima di questa missione, Madeleine Habib ha navigato in tutto il mondo, a bordo di numerose imbarcazioni, coinvolte in diverse azioni.
In particolare, Madeleine ha lavorato per la nave di Green Peace per 15 anni, 3 dei quali come capitano; è stata responsabile logistico in Yemen per Medici Senza Frontiere; capitano durante un viaggio di studi sui vulcani sottomarini nelle isole Fiji e durante un viaggio nella Regione di Kimberly per lo studio della Corrente Leeuwin; come primo ufficiale e secondo ufficiale sulla nave Astrolabe, ha condotto la navigazione sino alla base francese Dumont Durville sulla costa orientale dell’Antartide e anche fino all’Isola Macquarie…ecc, ecc. Il suo curriculum è come la mappa del mondo. Ascoltare la storia di questa donna, che inizialmente ambiva alla carriera di giornalista per poi diventare capitano di navi impegnate nella salvaguardia di vite umane e del pianeta, accompagna l’ascoltatore in una sorta di tour del mondo.
Lara Garel e Hara Kaminara hanno avuto l’occasione di porle qualche domanda in un’insolita giornata di pace nel Mediterraneo Centrale.
Madeleine, vuoi parlarci del tuo rapporto con il mare?
Sono in mare da 30 anni, la prima volta avevo 22 anni, ed avevo già deciso di intraprendere la carriera da giornalista. Ho navigato per una settimana e mi sono sentita perfettamente a mio agio in quel contesto, non riuscivo a lasciare la nave e quindi mi sono detta “questa è la sfida che aspettavo”. Una sfida fisica e psicologica insieme, una sfida all’insegna dell’avventura. Ho preparato le valigie e mi sono imbarcata e 2 anni più tardi sono tornata a casa dalla mia famiglia dopo aver ottenuto il mio primo incarico da capitano, esattamente nel Nord del Queensland. La mia famiglia vive a tutt’oggi in Australia in un’aerea molto conosciuta, le “Isole Whitsunday”. Ho fatto visita ai miei genitori, che si erano appena trasferiti in quella zona, e ho approfittato di questa collocazione strategica per fare ciò che amavo: navigare.
Credo che ciascuno di noi abbia un rapporto molto personale con il mare, il mio è cambiato nel corso degli anni. Ho nostalgia del mare e quando ne risento il profumo, dopo un lungo periodo trascorso sulla terraferma, qualcosa dentro me si agita e mi sorprendo ogni volta perchè non mi rendo perfettamente conto di quanto davvero mi manchi il mare fino a che non ne percepisco il profumo, tutti i suoi profumi, delle calde acque tropicali come delle fredde acque antartiche. Non posso immaginare la mia vita senza il mare per il quale credo di avere un particolare senso dell’olfatto nel percepirne lo straordinario profumo. E mentre per altre persone il mare rappresenta la paura, l’ignoto, l’ostacolo, la barriera, al punto da odiarlo, per me rappresenta un luogo dove mi sento di risplendere.
Come mai hai deciso di lavorare in ambito umanitario?
Pur essendo molto soddisfatta del mio lavoro, sentivo che qualcosa mi mancava. E quindi mentre ero impegnata nella navigazione, contestualmente mi dedicavo al lavoro come volontaria nella realizzazione di progetti di giustizia sociale e di progetti a tutela dell’ambiente coltivando per anni il sogno di prestare servizio per Green Peace, sogno poi realizzato. In effetti per 15 anni ho lavorato su una nave di Green Peace, diventandone capitano, e ho partecipato a numerose campagne ambientali in giro per il mondo. Nel frattempo sentivo che c’erano altre cose delle quali avrei voluto occuparmi e perciò nel 2002 decisi di approfittare del periodo di ferie per prendere parte alla mia prima missione con Medici Senza Frontiere, riuscendo così a realizzare un’attività che non fosse soltanto a tutela dell’ambiente, ma anche a tutela dell’umanità, della giustizia sociale e del welfare. Questo è quello di cui mi occupo e sono contenta di dedicare il mio tempo alla realizzazione di questi progetti.
Cosa ti ha portato qui, a bordo dell’Aquarius, nel Mediterraneo Centrale, con SOS MEDITERRANEE?
La crisi dei migranti nel Mar Mediterraneo si dispiega ormai da anni, e il mio primo contatto con questa immane tragedia è avvenuto su una nave di Greenpeace. Nel corso di un’azione, bloccammo una nave intenta allo scarico di legname tagliato illegalmente in un porto del Portogallo. La reazione del capitano fu eccessiva. Solo più tardi ci rendemmo conto che a bordo della nave erano stivati tra i 20 e i 30 migranti e che quindi la reazione esagerata del capitano era dovuta al fatto che avevamo impedito la realizzazione del suo business: il traffico di migranti in Europa. Questo è stato il mio primo contatto con la crisi dei migranti e in quella circostanza ho pensato: “come sarebbe la tua vita se fossi costretto ad intraprendere quel viaggio, a fare una scelta simile?”. Nel 2015, nel pieno della crisi umanitaria, sono venuta a sapere che Medici Senza Frontiere si stava attivando per l’impiego di una nave nel Mediterraneo per affrontare quella tragedia umana e volevo a tutti i costi prendere parte a quella missione. Devo ammettere di avere avuto molta fortuna ad essere a bordo della nave Dignity I di MSF nel 2015 e nei primi mesi del 2016 e di essere stata parte di quel progetto. Mentre ero a bordo, mi sono resa conto che quel luogo necessitava di un ponte tra il mondo marittimo e il mondo umanitario, e ho pensato che io avrei potuto interpretare a pieno quel ruolo, data la mia esperienza marittima e umanitaria insieme, e quindi ho pensato che sarebbe stata una buona idea propormi come SAR Coordinator per SOS MEDITERRANEE a bordo dell’Aquarius, nel Mar Mediterraneo, per far fronte alla crisi migratoria, un ruolo perfetto per me.
All’inizio di quest’anno sono stata impegnata in vari corsi di formazione al fine di presentarmi al meglio nel mio ruolo di ponte tra i 2 mondi. Ho valutato diverse organizzazioni attive nel Mediterraneo, ma SOS MEDITERRANEE mi è sembrato il luogo perfetto, la giusta opportunità.
Come nasce il tuo interesse per la crisi migratoria nel Mar Mediterraneo?
La mia famiglia è una combinazione di nazionalità: mio padre egiziano, mia madre scozzese. Nei primi anni ‘60 mio padre ha lasciato l’Egitto per andare a vivere nel Regno Unito. Dopo il viaggio in aereo, ha richiesto e ottenuto asilo politico. Era un dottore qualificato e quindi a quei tempi era abbastanza semplice ottenere la protezione internazionale, anche se non ha mai acquisito la cittadinanza britannica ed è per questo che ho vissuto in prima persona il dramma di chi vive senza una cittadinanza e che quindi non gode di un riconoscimento effettivo da parte dello Stato ospitante. Ciononostante mio padre è stato fortunato. Negli ultimi anni anche il resto della mia famiglia è stata costretta a lasciare l’Egitto in quanto di religione copta e quindi parte di una minoranza perseguitata all’interno del Paese, al punto da renderne impossibile la permanenza.
La gente scappa dal proprio Paese d’origine per diverse ragioni. Non sono qui per giudicare. Nessuno a bordo dell’Aquarius è qui per giudicare. Ma la gente non lascia la propria casa senza una ragione valida. Noi salviamo vite umane, non giudichiamo chi scappa e perchè, semplicemente sappiamo che questa gente è qui per salvarsi la vita. Le imbarcazioni con cui affrontano il viaggio non sono il tipo di imbarcazioni che sceglieresti per intraprendere una traversata in mare se non fossi costretto, se non fosse per la disperazione, insomma questa gente non parte perchè può sembrare una buona idea lasciare il proprio Paese, questa gente parte perchè non ha altra scelta.
Credo nei diritti fondamentali dell’uomo, credo nel diritto di ciascuno a migliorare la propria esistenza, a cercare il massimo per sé e per la propria famiglia. Se sei nato in alcuni Paesi del mondo, devi affrontare ostacoli enormi per ottenere diritti che molti di noi considerano scontati.
Intervista di Laura Garel
Video di Hara Kaminara
Foto di Anthony Jean
Traduzione: Mariagrazia Pastore
Editing: Stefano Ferri