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Per i Libici, i neri sono soldi facili. Libia per quelli come me vuol dire schiavitù

Testimone M.

M. viene dalla Gambia, ha 18 anni ed è stato salvato da SOS Méditerranée il 5 Aprile 2017. Era in fuga dalla Libia, dove con altri compagni ha trascorso un anno tra la prigione e i lavori forzati.

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Prima di tutto, voglio ringraziare Allah. Lo ringrazio per tutto quello che ha fatto per me durante questo viaggio. Il mio nome è M. e vengo dal Gambia. Sono rimasto orfano di madre e di padre quando ero ancora un bambino, quindi io ed i miei fratelli siamo cresciuti con nostra nonna. E’ per la mia famiglia che mi sono messo in viaggio. La vita da dove vengo io non è facile e la mia famiglia deve lottare per sopravvivere. Sono un uomo, so di poter aiutare. Ma non avrei potuto aiutarli se fossi rimasto in Gambia. Perciò ho lasciato la mia città nel 2015, alla ricerca di un futuro migliore. Era la fine del Ramadan, non dimenticherò mai quel giorno. Ho lasciato il mio paese, ho lasciato la mia famiglia. Non parlo con loro da un anno ed otto mesi, perche non voglio che sappiano della mia situazione. Li farei solo soffrire.

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Prima sono andato in Senegal, poi in Mali, dal Mali al Burkina Faso e da lì in Niger. Ho cercato un lavoro ad Agadez, senza risultati. Ho conosciuto un uomo che ha promesso di trovarmi un lavoro a Sabha in cambio di soldi. Mi sono fatto prestare 8000 Dalasi da un amico di famiglia e mi sono fatto portare lì.

A Sabha è facile trovare un lavoro, ma è un posto pericoloso. Le persone lì vengono rapite, vendute, uccise. Ho perso così un amico. L’hanno catturato e torturato.

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Uscire e camminare per strada lì equivale ad una sentenza di morte. Ti giri in continuazione per guardarti le spalle. Se senti un rumore ti metti a correre. Ci sono rimasto cinque mesi. Sono stati mesi lunghissimi. Vivevo in un campo chiamato Abukafi. Lì solo Dio ti può salvare. Non c’è cibo, non c’è acqua. E i Libici spesso assaltano il campo. Se sei fortunato riesci a scappare, se non lo sei ti catturano e ti ricattano. Se non hai soldi, ti uccidono. Troppe persone muoiono così. I neri che sono in Libia sono in guai seri, al giorno d’oggi. Per i Libici, i neri sono soldi facili. Libia vuol dire schiavitù, per quelli come me. Uno potrebbe pensare che la schiavitù sia stata abolita tanto tempo fa ed invece in Libia è molto diffusa.
Ho cercato di scappare un paio di volte ma lì non ti puoi fidare di nessuno. E’ molto difficile farsi degli amici in Libia, è lì che ho cominciato a diffidare di tutti. Una volta ero quasi riuscito a scappare, ci hanno preso quando eravamo già al largo. Anche se si definiscono la polizia, anche se si chiamano soldati, sono solo dei criminali. Tutto quello che vogliono sono i tuoi soldi. Mi hanno portato in prigione e mi hanno trattato come un animale. A volte ci davano cibo, a volte no. Ti fanno chiamare la tua famiglia. Ti portano il telefono e ti si mettono vicino con un bastone. Mentre sei al telefono ti picchiano, urlando „Dì ai tuoi di mandarti dei soldi! Fatti mandare dei soldi!”. Ma come fai a dire alla tua famiglia di mandarti dei soldi quando sai che non ne hanno? Sono rimasto in prigione per tre mesi, tutti gli altri riuscirono a pagare ed uscire.
Ma un giorno fui fortunato. C’era uno del Ghana che veniva a scarcerare la sua gente. Gli dispiaceva per me e disse che mi avrebbe aiutato.Il giorno dopo una delle guardie disse che c’era qualcuno ad aspettarmi fuori. Era lui, pagò perchè potessi uscire. Mi portò a casa sua e cominciai a lavorare per lui. Non c’era riposo, lavoravo ogni giorno dalle 7 di mattina alle 7 di sera, ma almeno pagò per il mio posto sul barcone. E’ così che sono arrivato qui.
Il viaggio è stato orribile. Ma oggi, grazie a Dio, sono libero. Nessuno mi dirà più che sono spazzatura, non sarò più picchiato. Ringrazio Dio per questo. Non è stato facile, anzi, difficilissimo. Ho sofferto tanto in quel paese, durante il mio viaggio. Ma ringrazio sempre Dio, anche quando sono nell’oscurità più completa. Lo ringrazio per avermi permesso di andarmene sano e salvo ed arrivare qui.

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Testimonianza raccolta da: Sarah Hammerl
Traduzione : Flavia Citrigno

Ph: Patrick Bar/SOS MEDITERRANEE