Aquarius, 14 e 15 Novembre 2016
Testimone O.
O. singhiozza davanti alle toilette. Intorno a lui, diversi giovani uomini discutono. Non riescono a dormire, sono ancora traumatizzati dopo l’operazione di soccorso del loro gommone, che è si è tramutata in tragedia solo poche ore prima. È il pomeriggio del 14 novembre, quando la Aquarius si avvicina al loro gommone e circa 70 persone si buttano in mare sotto l’effetto del panico, inebriate dalle inalazioni di carburante e ustionate dalle fughe di benzina. È stato un incubo per i soccorritori di SOS MEDITERRANEE, che sono riusciti comunque a salvare 114 persone delle 119 che si erano imbarcate sul gommone. Cinque corpi senza vita giacevano a bordo del gommone alla fine delle operazioni di salvataggio. Messi nei « sacchi mortuari », i corpi sono stati recuperati in seguito uno ad uno e poi posizionati sul ponte di prua della Aquarius.
Quando il panico è passato, a fine salvataggio, i compagni di sventura delle cinque vittime si sono presto resi conto della perdita dei loro amici.
« Sono triste perché penso al mio amico morto sul gommone. Si chiamava O., come me. Dato che avevamo lo stesso nome, gli altri ci chiamavano « O. O. » ; è cosí che nel nostro paese chiamiamo le persone con nome uguale. E conoscevo anche un’altro uomo di quelli che sono morti. Ci eravamo incontrati in Algeria, ci scambiavamo e mangiavamo il cibo insieme » racconta O., tra un singhiozzo e l’altro. « Dato che non li vedevo qui sulla nave, ho capito che erano morti. Parliamo di loro perché non possiamo dormire ».
Intorno ad O., gli altri parlano di ciò che è accaduto, analizzano gli eventi, ancora e ancora. « O. era imam, prima di salire sul gommone ci diceva di non cedere al panico! Era calmo, come se avesse previsto la sua morte. E poi, qui, quando alla fine sono arrivato a bordo della vostra nave, non l’ho più visto. Mi sono detto o è caduto in mare o è in Italia, perché all’improvviso non ero più cosí sicuro che fosse salito sullo stesso gommone al momento della partenza dalla Libia ». O. si spiega. «Dovete capire che eravamo obbligati a prendere il mare. Siamo saliti sul gommone di corsa, io ero seduto all’interno, non ho visto le onde. Ma chi era seduto sui lati aveva paura. Alcuni sono rimasti ustionati dalla benzina, molti hanno bevuto acqua di mare. I bidoni della benzina si sono rotti quando ci siamo saliti sopra per segnalare la nostra presenza, perché erano dei recipienti di cattiva qualità. Anch’io mi sentivo bruciare dalla benzina, è per questo che ad un certo punto sono saltato in mare ». Infatti, da lontano, dal ponte di poppa della Aquarius vedevamo i passeggeri dello zodiac agitare i bidoni, come per segnalare ai soccorritori la necessità di un intervento urgente.
« Quando siamo arrivati qui sulla nave, abbiamo potuto farci subito una doccia per toglierci di dosso la benzina che ci bruciava la pelle. Avevamo una seconda possibilità. In quel momento pensavo che tutti fossero vivi, mi sono reso conto poco dopo che O. non era più lí ». O. chiede se può vedere le foto del corpo del suo compagno. Più tardi, coloro che hanno visto il cadavere, racconteranno che il viso del giovane era stato completamente bruciato, eroso dalla miscela di acqua di mare e carburante.
La mattina dopo O. ritrova il sorriso, malgrado una notte insonne, mentre 23 persone scampate al naufragio di un gommone vengono trasferite a bordo della Aquarius. Questi 23 superstiti sono stati soccorsi la notte prima dalla petroliera Maerck Erin. « In quel naufragio ci sono stati 99 morti. Tra i 23 superstiti c’è un adolescente guineiano di 15 anni, è venuto il mio momento di tirargli su il morale. È più abbattuto di me, devo aiutarlo » racconta il giovane.
E poco a poco passano le ore e lui fa il punto della situazione. «Ciò che penso di questo viaggio è che ciò che conta non è il coraggio, né i soldi ; è la fortuna. È come se mettendo piede qui sulla vostra nave fossimo nati una seconda volta. Abbiamo a disposizione una seconda possibilità» spiega. Se dovesse tornare indietro, non lo rifarebbe di sicuro. « Quando si affronta il tema della Libia siamo un po’ tristi. Io sono restato in Libia per due settimane, mangiavamo solo due volte al giorno, riso o spaghetti. C’erano in media 7 persone che mangiavano dallo stesso piatto. Il mio amico O. capiva l’Arabo e ci spiegava ciò che dicevano i guardiani. Ma loro ci prendevano a schiaffi, ci picchiavano se parlavamo tra noi ».
Malgrado l’incubo vissuto in mare solo la notte prima, O. racconta di aver avuto più paura nel deserto – che chiama « il mare di sabbia » – che in mare ; lo aveva già visto « in vacanza ad Abidjan ». Immaginarlo in costume, o che gioca a calcio sulla spiaggia di Abidjan con i suoi amici, invece che su questa nave a ricordare e piangere i propri amici, sembra una consolazione.
Ma comincia a piovere a grosse gocce e la nostra conversazione s’interrompe. Un temporale violento si abbatte sulla Aquarius, che si avvicina alle coste italiane. Bisogna distribuire urgentemente delle coperte di sopravvivenza, trovare un riparo. Quel viaggio sembra interminabile a noi…cosa dev’essere per loro ?
Qualche minuto più tardi, rincontro O., avvolto nel suo mantello dorato. Ha fretta di arrivare in Europa per avvertire la sua famiglia. « Vorremmo avvertire i nostri genitori che siamo stati salvati. Per loro è una sofferenza terribile non sapere dove siamo. Lunedì avvertirò mio padre. Mi mancano gli amici, la famiglia. Ma quando sapranno che sono in Europa, per loro sarà una grande gioia e poi, con voi, qui sulla nave, è come avere una nuova famiglia e ciò mi consola un po’ ». Promette che in Italia andrà a scuola e che farà del suo meglio per ottenere dei diplomi. « Prima di tutto dovrò abituarmi alla vita in Italia, poi andrò a scuola per imparare, per formarmi e poi, una volta ottenuto un diploma voglio tornare nel mio Paese ». Questi sono i suoi desideri.
O.vorrebbe diventare ingegnere civile. «Stando nel mio Paese non è scontato. La maggior parte degli ingegneri hanno studiato in Europa e non è facile avere un visto per andare in Francia. Alcuni hanno la fortuna di poter viaggiare in aereo, è più rapido. Ma non noi ». Di fatto, O. ha rischiato la sua vita per venire a studiare in Europa. Torno indietro con il pensiero a qualche anno fa, mi soffermo a ricordare il campus universitario dove ho trascorso il mio anno Erasmus, all’estero. Lo squilibrio evidente tra le nostre vite e le loro è imbarazzante.
O. si sente meglio ora che mi ha raccontato la sua storia, ora che ha potuto parlare. « Ora saremo amici per sempre, non è vero ? Voi verrete in Costa d’Avorio, da me. Vi voglio invitare per Tabaski, da noi è una grande festa ». La generosità di questi uomini dai piedi nudi è incredibile. Ma non c’è molto tempo per commuoversi, la pioggia raddoppia d’intensità, O. raggiunge i suoi compagni e scompaiono tutti poco a poco, avvolti nelle loro coperte grigie. Mancano solo poche ore per arrivare, finalmente, in Europa…e per poter chiamare suo padre.
Testo: Mathilde Auvillain
Traduzione: Sara Gisella Omodeo
Photo Credits: Suzanne Friedel/SOS MEDITERRANEE
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