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Oggi é successo qualcosa di spaventoso. La conferma di ciò che temevamo. Ieri, guardando il mare che si stendeva davanti ai nostri occhi, senza vento e accompagnato da un cielo blu senza nuvole, un Mediterraneo da sogno, ce lo aspettavamo. Dopo una settimana di maltempo, i migranti si sarebbero lanciati in mare. Davanti a noi, sulla costa libica, gli scafisti fremevano, pressati dalla ripresa del loro commercio di uomini. Il loro affare. Laggiù, uomini africani, destinati alla partenza, aspettavano, accalcati in baracche vicino alla spiaggia, sopraffatti dalla paura. Paura della brutalità degli scafisti, paura di non partire, paura di continuare il loro calvario nell’inferno libico. Basta un giorno di tregua, uno solo e tutta la flotta prende il largo.

Ecco che si parte; gli allarmi lanciati da Roma dal MRCC – il Centro di Coordinamento del Salvataggio in Mare del Comando Generale delle Capitanerie di Porto – si susseguono con la cadenza di un’agenzia di stampa. 5.50 : « imbarcazione in avaria – posizione sconosciuta – vigilanza ». 6.10 : « due imbarcazioni in avaria – posizione »…troppo lontano per noi! 8.00 : « uno Zodiac soccorso dalla Marina italiana ». 8.38: « Nuova imbarcazione in avaria. Lat : 32° 55′ N / Long : 012° 30 E». Un’altra? Sí, un’altra. Nella stessa zona. Sono partiti dalla zona ad ovest di Tripoli. Senza dubbio dalla spiaggia di Zuwara, per la rotta più corta per la Sicilia. Roma ci chiede di dirigerci in direzione ovest, per andargli incontro. 9.13: « Altre due imbarcazioni a rischio di naufragio… » Ci precipitiamo a dieci nodi, forzando i motori. Il mare risuona di appelli radio. Le navi militari dell’Operazione Sophia sono anche loro al lavoro. Troppi Zodiac in mare, troppi naufragi imminenti. Roma distribuisce i compiti, coordina. E noi arriviamo in tempo. Ed eccola, una massa grigia, un fragile ‘giocattolo’ perduto tra le onde. È il nostro primo salvataggio in gommone di emergenza. Sono molti, ci sono uomini, donne, bambini e neonati. Distribuiamo 120 giubbotti di salvataggio. E poco dopo vengono consegnati per primi i due neonati estratti dal fondo dello Zodiac e, poi, due bambini di due e sei anni, Erwan et Willy, del Centrafrica. La madre dei due sale a bordo, fa dei gesti per dire che gli hanno sparato e crolla. Dora, una bella donna nigeriana, piange a dirotto anche lei, senza riuscire a dire una parola. Solo ringrazia il cielo con una preghiera, persino lì, in terra sul ponte della nave.

Bisogna portare a bordo un ragazzo di diciott’anni, affetto da polio, che ha perso le sue stampelle in Libia.

Altri sono più forti, sorridono, ringraziano, come il gruppo arrivato da Yaoundé in Camerun. Ma tutti sono ridotti pelle ed ossa, tremano al sole, chiedono una coperta, una bottiglia d’acqua, una galletta. Ci allontaniamo dallo Zodiac, pericoloso, ha il serbatoio del carburante che perde. Sul fondo dell’imbarcazione le solite assi di legno con lunghe viti, la punta rivolta verso l’alto e lunghe a sufficienza per ferire piedi e gambe. Uno dei nostri cerca di perforare quel che resta del gommone di plasticaccia, già piuttosto sgonfio. Lo « Zodiac » non sarebbe andato molto lontano. A bordo contiamo: 119 rifugiati, 13 donne, due bambini, due neonati. Gli appelli radio continuano a susseguirsi in mare. È una vera e propria flotta di disperati.

E tutto il mare risuona di gemiti.

 

Aquarius 15 marzo 2016
Jean-Paul Mari

Fonte -> http://www.grands-reporters.com/Journal-de-bord-SOS-MEDITERRANEE.html