Il messaggio è arrivato ieri via radio dal Centro Guardia Costiera di Roma: “Questa mattina alle ore 6:40 UTC, messaggio di richiesta di soccorso nel sud del Mediterraneo. Secondo la convenzione di diritto del mare e del dovere di assistenza, si informa che un gommone è in pericolo in una zona non conosciuta ed ha a bordo circa 120 persone. Domandiamo a tutte le imbarcazioni che si trovano nella zona di operare con grande vigilanza e segnalare qualsiasi avvistamento”.
Eccoci, non eravamo ancora arrivati nella zona delle nostre ricerche, che già i marinai dell’Aquarius si sono guardati tra loro sbalorditi. Davanti a noi c’erano onde di quattro metri e il vento che soffiava a 50 km orari. Non era di certo una situazione adatta a mettere un mezzo di salvataggio in acqua né tantomeno uno Zodiac, gommone peraltro zavorrato dal peso di 120 persone e pronto ad affondare.
Questi migranti avevano sicuramente un telefono, ma non un GPS e dunque non potevano comunicare la zona nella quale si trovavano, ma soltanto chiamare i soccorsi.
Sappiamo che la loro batteria si sta per scaricare e che ci sarà quindi una barca fantasma perduta in alto mare.
Kaus, il capitano dell’Aquarius, indìce una riunione urgente. Tutto l’equipaggio è pronto ad intervenire. I marinai, i soccorritori e i medici hanno verificato il materiale e confermato le procedure. Non rimane quindi che organizzare una vedetta per avvistare una testa di spillo sul mare—e per giunta fatta di plastica e nell’impossibilità di restituire un’eco al nostro radar.
È calata la notte e gli ufficiali si alternano sul ponte con il binocolo in mano, scrutando la sommità delle onde, che potrebbero inghiottire e nascondere lo Zodiac.
Due ora di vedetta, poi il cambio, di nuovo due ore di vedetta. Tutta la notte. Con la luce della luna.
“Un mercantile è passato a babordo a meno di quattro km, ma senza le luci di navigazione non l’avrei mai visto” mi ha detto Jean, l’ufficiale, con gli occhi rossi.
Questa mattina l’alba si è alzata su un mare vuoto, ma domato. Il tempo è buono e anche più caldo. L’Aquarius ha fermato i motori—slow go ahead—davanti alla Libia. Finalmente ci siamo. Eccoci nelle zona operativa che pattuglieremo da est ad ovest, da ovest ad est, per almeno due mesi. Con il ritorno del mare calmo, a bordo sappiamo tutti che c’è il grande rischio che gli scafisti anticipino la partenza delle imbarcazioni dei migranti.
Questa mattina Klaus, alla fine della sua riunione tecnica e contrariamente a come d’abitudine, ci ha chiesto cosa provavamo. Una cosa semplice: essere qui è un sollievo e un dolore insieme. Il sollievo di potere agire, il dolore davanti all’inaccettabile. E ci siamo ritrovati tutti sul ponte, appoggiati al parapetto, a cercare una testa di spillo sull’acqua.
Aquarius, 29 febbraio 2016
Jean-Paul Mari
Fonte -> http://www.grands-reporters.com/L-Edito-Une-tete-d-epingle-sur-l.html