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„ Sentire che puoi fare qualcosa di utile per loro, ti incoraggia e ti dà forza.“

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Da alcune settimane sei tornata in terra ferma. Come ricordi il tempo trascorso a bordo della nave AQUARIUS?

Da metà giugno a fine luglio sono stata a bordo della nave di soccorso AQUARIUS come volontaria nella squadra di ricerca e salvataggio SAR (Search and Rescue). È stata un’intensa esperienza di vita e di lavoro, molto faticosa dal punto di vista fisico e psichico. Mi sono sentita però cento volte premiata per questo impegno. All’inizio ho avuto difficoltà nel trovare un mio posto nel lavoro e nella squadra, e nei primi giorni soffrivo di mal di mare. Dopo la prima operazione di salvataggio invece, è tutto passato. Da allora ho avuto la sensazione di essere nel posto giusto al momento giusto, facendo la cosa giusta. Questa esperienza mi ha cambiata in modo positivo, e ne sono grata. Sento che è cresciuto anche un forte legame con l’organizzazione. Nelle sei settimane abbiamo salvato 920 persone dal mare, abbiamo assistito in totale 2.043 persone, portate in terra sicura. Il 20 luglio, durante la mia ultima operazione di salvataggio, abbiamo dovuto ricuperare anche ventidue corpi di persone morte su un gommone. Quel giorno è stato duro. Penso spesso alle persone che abbiamo avuto da noi a bordo e mi chiedo: dove sono ora, come stanno?

Il ritorno a terra dopo la fine del mio impegno è stato difficile, il contrasto con quanto vissuto era troppo forte per tornare facilmente alla vita quotidiana. Seguo ora cosa sta succedendo sulla nave, sono in contatto con diverse persone della squadra, quindi mentalmente ed emotivamente sono ancora a bordo. Adesso mi preparo per il prossimo impegno sulla nave a fine settembre.

Perché sei andata a bordo della nave AQUARIUS come volontaria della squadra SAR?

È una storia lunga. Da anni lavoro per una ricerca sulla storia della mia famiglia, composta da generazioni di rifugiati, dal ‘700 in poi. Dal 2013 collaboro con la fondazione federale tedesca Stiftung Flucht Vertreibung Versöhnung (Fuga Espulsione Riconciliazione). All’inizio del 2016 avevo ricevuto un incarico per una ricerca sul tema: “I rifugiati oggi nel Mare Mediterraneo centrale”. Per questa indagine sono stata a lungo in giro per la Sicilia. Ho fatto tante interviste, anche con diverse persone impegnate nel lavoro con i rifugiati, e ho raccolto molto materiale. Quando ero a Lampedusa, a fine febbraio, una notte ho visto, anzi ho vissuto sul molo, l’arrivo di persone salvate dal mare e portate a terra ferma dalla Guardia Costiera. Questo evento, l’incontro con persone che avevano viaggiato in mare, dispersi, senza bere né mangiare, e che in quel momento toccavano per la prima volta terra sicura, mi ha segnata. Un paio di giorni dopo, partecipai ad una cerimonia di saluto alla nave AQUARIUS, che stava per partire per la sua prima missione nella zona SAR del sud Mediterraneo. Ebbi l’occasione di visitare la nave e di parlare con persone che lavorano per SOS MEDITERRANEE. Quando ho visto la nave partire da Lampedusa, ho avuto un forte desiderio di partecipare al progetto. Da giovane sognavo di lavorare su una nave. Adesso, questo desiderio si accompagna all’entusiasmo per il progetto di SOS: fare qualcosa di concreto per persone costrette a mettersi in viaggio sulla pericolosa rotta del Mediterraneo, rischiando così la loro vita. Appena terminato il lavoro di ricerca, ho mandato perciò la mia domanda all’organizzazione umanitaria SOS MEDITERRANEE.

Perché il salvataggio civile in mare è così importante per te?

Quando la tua città è in fiamme, non aspetti che arrivino i vigili, ma vai a partecipare per spegnere il fuoco. L’impegno di navi civili per il salvataggio è così importante sia perché c’è urgente bisogno di loro, sia perché sono le uniche per le quali la missione di Search and Rescue, cioè di salvare le persone, è prioritaria. La rotta del Mediterraneo centrale è la rotta di fuga più pericolosa al momento e dove si registra il più alto numero di vittime. Quasi ogni giorno muoiono delle persone in mare, persone in fuga che non hanno alternative al viaggio in gommone. Questo è una catastrofe umanitaria, bisogna contrastarla con mezzi umanitari. Non possiamo farcela da soli, però se non ci fossimo, morirebbero ancora più persone. La Comunità Europea non ha ancora deciso di affrontare la realtà. Continua a puntare sulla chiusura e la difesa, esporta altrove la protezione delle proprie frontiere e prende accordi con dittature e criminali di guerra (come in Sudan), piuttosto che impegnarsi politicamente e in modo concreto nel Mediterraneo a favore delle persone in fuga. Alla fine le persone, che scappano dall’inferno della Libia, diventano oggetti di una politica miope e cinica che segue interessi nazionali ed egoistici.

L’Europa si illude ancora di poter fermare la migrazione di persone. Le navi di FRONTEX e di EUNavForMed, oltre a partecipare alle operazioni di salvataggio di persone, girano nel Mare Mediterraneo con la missione di proteggere le frontiere europee e di sconfiggere i trafficanti. Quelli però, stanno in Libia e fanno grandi affari. Ogni giorno, quando il tempo atmosferico lo permette, i trafficanti mettono delle persone sulle barche e li fanno partire, sapendo che queste non ce la faranno mai ad arrivare fino alla costa italiana. Sembra che per noi le vite di questi esseri umani in fuga valgano meno delle nostre. Cosa succederebbe se fossero gli Italiani, i Tedeschi, i Francesi a morire a migliaia nel Mare Mediterraneo? Allora non siamo tutti uguali, indipendentemente dalle nostre origini, dal colore della nostra pelle, dalla nostra religione e dal nostro genere?

Quali sono stati momenti particolari per te sulla AQUARIUS?

Ci sono tanti momenti che mi tornano spesso alla memoria. Ci sono i momenti durante le operazioni di salvataggio, con il gommone davanti a noi. Stavo spesso sulla piattaforma di arrivo e davo una mano alle persone che salivano la scala per venire a bordo. Ci sono anche momenti durante le giornate seguenti, a bordo, trascorsi insieme ai sopravvissuti. In particolare, mi ricordo il „battesimo di fuoco“, la mia prima operazione in mare. Il 23 giugno, di mattina, ero di guardia sul ponte. Arrivò una chiamata di emergenza dal MRCC di Roma. C’erano tre gommoni nelle vicinanze. Il primo l’abbiamo trovato dopo poco tempo e abbiamo salvato tutti i passeggeri. Il secondo, nel frattempo era stato avvicinato da una nave militare, con l’impegno di salvarli. Il terzo però, l’abbiamo cercato per tutto il pomeriggio e per tutta la sera. Scendeva il buio e noi c’eravamo tutti sul ponte con il binocolo per scrutare il mare. Niente. Navigammo nella notte continuando la ricerca, il Capitano faceva muovere la nave come una spirale attorno alla posizione supposta del gommone. Le luci della nave giravano sulla superficie dell’acqua. All’improvviso apparve un piccolo punto bianco nel buio. L’avevamo trovato il terzo gommone. Ci siamo avvicinati e le persone dentro stavano sedute ferme e accennavano un saluto. La barca rifletteva la nostra luce, splendeva come se tutto fosse bianco, anche le persone. Sopra di loro stava la luna piena. Abbiamo fatto un’operazione di salvataggio notturna e verso le 2 di mattina li abbiamo tratti tutti a bordo, tutti salvi. C’erano tantissime donne e molti bambini tra di loro, erano in viaggio da più di 20 ore. Subito dopo, alle ore 3, abbiamo iniziato un trasbordo da una nave della Marina Militare italiana di altre 395 persone. Il portarli da noi a bordo è durato più di 6 ore, una eternità. Eravamo ormai in piedi da più di 24 ore. Il nostro viaggio di ritorno alla volta di Messina è durato due giorni, abbiamo assisto in totale 650 persone, così tanti non erano mai stati a bordo della AQUARIUS. Nella giornata del 23 giugno ci furono 43 le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, circa 5.000 persone sono state salvate. E’ stata una giornata da record, ma nei media c’era soltanto la notizia sul Brexit che oscurava tutto. Quel giorno c’è stato anche un Happy End per una giovane coppia di amanti, Masse ed Adams. Erano fuggiti su due gommoni diversi, non avevano più notizie l’una dell’altro. Lei era sul gommone della notte, lui arrivò solo poco dopo con il trasbordo dalla nave militare. Si sono ritrovati a bordo da noi e hanno passato tutto il tempo sul ponte, abbracciati. Non potevano credere alla loro fortuna.

Altri momenti indimenticabili sono stati gli incontri con le persone salvate a bordo, dopo che si erano riposate, nella seconda notte , oppure il lavoro di squadra per preparare e per distribuire i pasti. Era particolare anche il turno di guardia durante le notti, quando le donne dormivano esauste nello spazio protetto e i loro figli correvano per ore sul ponte, giocando e facendo scherzi.
Non volevano andare a dormire. Erano grati per ogni attenzione da parte nostra. C’era una bambina che aveva mangiato un intero pacco di NRG5, quella polvere compatta di 2000 Kcal, la quale nutre un uomo adulto per una giornata. Era imprendibile e adorabile e l’avrei adottata all’istante.

Non potrò mai scordare come arrivammo la mattina presto nel porto di Messina, come i superstiti stavano a guardare da ore la costa che si avvicinava, come iniziarono a pregare e a cantare – e come poi lasciarono la nave per scendere in terra ferma. Ad ogni discesa c’erano persone che avevo conosciuto un poco durante il tragitto di due giorni, ed era difficile salutarle. Sapevo che avevano ancora un lungo e pesante viaggio davanti a loro.

La giornata peggiore è stata quella del 20 luglio. Dopo la chiamata di emergenza dal MRCC di Roma siamo andati alla posizione segnalata e abbiamo saputo che c’erano dei morti in uno dei due gommoni. Abbiamo preso su i sopravvissuti, 209 in totale dalle due imbarcazioni. Alla fine, tre uomini della nostra squadra SAR, Mathias, James und Albert, si sono calati dentro e hanno iniziato a ricuperare i corpi. Su a bordo, la dottoressa e i ragazzi di MSF li hanno presi e messi nei body bag e portati verso la prua. È durato ore, non finiva mai, almeno così sembrava. Ho osservato l’operazione dalla piattaforma di arrivo, da una certa distanza, non potevo fare niente. La sera, quando abbiamo saputo di più, quando dicevano che erano 22 i morti di cui 21 erano donne e che erano in uno stato pietoso, sono stata presa da uno sconforto mai provato. Siamo stati poi due giorni in viaggio per giungere a Trapani, portando tutti, i vivi e i morti, a terra. Questo è stato mio ultimo impegno di salvataggio, tre giorno dopo ho preso l’aereo per tornare a casa.

Cosa ti porti dietro da questa esperienza?

Soprattutto la certezza che siamo tutti nella stessa barca e portiamo insieme delle responsabilità per ciò che succede. La fiducia nelle virtù di un lavoro comune, nella possibilità di poter riuscire insieme a fare qualcosa di utile. Ho vissuto a bordo della AQUARIUS la forza di un team internazionale, le tre squadre tra SOS Mediterranee, MSF (Medici Senza Frontiere) e il personale nautico-tecnico, persone di tredici nazionalità, impegnati nel progetto comune di salvare delle persone. Quando puoi impegnarti secondo le tue capacità e riesci a trovare il tuo posto in questo progetto, vivi un’enorme crescita in coraggio e in forza. Semplicemente avverti che puoi fare qualcosa. Non solo stare seduta sul divano di casa e farti investire dalle notizie, che poi passano, ma piuttosto che puoi fare qualcosa di utile, avere un impatto sulla realtà delle persone. A volte è sufficiente un piccolo passo fuori dalla tua routine, e la prospettiva cambia. Mi porto dietro anche la consapevolezza del nostro benessere e della nostra fortuna, e sento una gratitudine immensa. Sono grata di questa esperienza sulla AQUARIUS, di questi incontri, di nuovi amici nella mia vita. Sono grata per l’occasione avuta di poter dare una mano alle persone che sono fuggite dall’inferno della Libia, di poter fare un gesto umano.

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