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Magdi Hagar, sopravvissuto dell’Aquarius

 

A volte ci sono degli incontri casuali che, forse, non accadono per caso. Era poco prima del confinamento. Quel giorno, Bertrand, volontario a SOS MEDITERRANEE, era di ritorno a Marsiglia dal suo villaggio dell’Aude, vicino a Narbonne. Magdi, un giovane sudanese di 23 anni, venuto a trascorrere il fine settimana a Narbona a casa di amici, approfittava di un posto nella sua auto per raggiungere Marsiglia dove è domiciliato.

Durante il viaggio, Magdi non era stato molto loquace, anche se bisogna dire che parlava ancora male il francese, e che alcune domande sono sempre difficili da porre. All’arrivo, si scambiarono i numeri di telefono e promisero di rivedersi…

 

Passarono delle settimane. Poi Bertrand, di nuovo di passaggio a Narbona, sentì parlare di un evento in cui un rifugiato avrebbe presentato un libro un po’ speciale. Arrivato con la moglie con qualche minuto di ritardo, Bertrand vide Magdí in piedi sul palco. Era proprio lui l’autore di quel libro speciale: «Libro 1 Darfur». Non potendolo scrivere in francese, aveva raccontato la sua storia in disegni: la sua partenza a 15 anni dal suo villaggio, incendiato, la ricerca della sua famiglia, le giornate intere a camminare, i bombardamenti, i campi di rifugiati nel Darfur, la fuga, l’errare per anni, il suo calvario in Libia, la traversata del Mediterraneo e infine il suo arrivo in Europa…

 

Sul palco, dietro di lui, il bellissimo disegno di una nave, a matita su un pannello. Si distingueva bene la silhouette caratteristica dell’Aquarius…

 

«Avevo paura e me ne sono andato»

 

Ecco alcuni estratti della storia di Magdi Hagar, tratta dal suo Libro 1 Darfur.

 

«Il 24 ottobre 2008 ero con il mio gregge. Era verso la metà del pomeriggio. Ho sentito quei dannati aerei avvicinarsi, e le bombe hanno cominciato a cadere. Ho visto le fiamme salire dalle nostre case.

«Quando ho capito che erano dei banditi, era troppo tardi»

Una sera, il 20 aprile 2016, tornavo a casa dal lavoro quando sono stato arrestato da due uomini che indossavano uniformi militari. Mi hanno chiesto il mio passaporto. Quando ho capito che erano dei banditi, era troppo tardi. Mi hanno legato e portato in una specie di prigione a Sabratha.(…) Non avevamo quasi niente da mangiare, solo un pezzo di pane al giorno, acqua, a volte pasta. Quando arrivava un nuovo prigioniero, veniva torturato per avere il numero della sua famiglia. Se la famiglia non poteva pagare il riscatto, ci picchiavano. Alcune persone sparivano.

(…)

Una cosa era certa, se fossi rimasto in Libia, sarebbe successo di nuovo. Non avevo altra scelta che lasciare quel paese. Il 6 giugno 2016, ci è stato comunicato che il giorno della partenza era arrivato. Eravamo un centinaio di persone sulla barca. C’erano donne e due bambini piccoli, tutti imbarcati su un piccolo gommone di plastica. Siamo rimasti due giorni in mare prima di essere avvistati dall’Aquarius, la nave di SOS MEDITERRANEE. Alcuni non hanno resistito, si sono tuffati per raggiungere i soccorsi.

Non so quante persone siano state uccise quel giorno. Non c’era più alcun rumore. La mia famiglia era scomparsa. Li ho cercati a lungo, ma non si vedeva bene al buio. Avevo paura e me ne sono andato».

Lungo la strada ho incrociato il camion di un libico che veniva a comprare pecore in Sudan. Gli ho detto che non avevo soldi, ma lui ha accettato di nascondermi nel suo rimorchio con gli animali. Il viaggio è durato nove giorni. Il deserto è un luogo molto pericoloso. A volte i camion si rompono. Si vedono i cadaveri delle persone morte sulla sabbia. Ho disegnato una jeep abbandonata. Le persone che erano a bordo erano tutte morte di sete.

(…)

Siamo stati molto fortunati. Conosco tre persone che hanno tentato la traversata su uno di questi gommoni; la loro nave si è rovesciata e sono morti annegati. È una grande disgrazia. Oggi si cerca di impedire alle ONG di salvare le persone in mare. Senza di esse, molti altri moriranno»

La storia di Magdi è quella di centinaia, migliaia di altri che sono fuggiti dalla guerra o dalla miseria. Ha impiegato cinque anni per arrivare in Francia. Lì, alcuni membri del collettivo “Disegni senza documenti” lo hanno invitato a raccontare la sua storia e a disegnarne alcune delle scene, poi le hanno pubblicate nel 2018.