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Testimone:Uomo siriano di 37 anni con la moglie afgana di 29 anni, hanno sette figli, dalla più grande di 12 anni al più piccolo di 1 anno. *
Il marito è un uomo intelligente e colto, sembra più anziano della sua età ed è visibilmente stanco, ma nonostante ciò è desideroso di raccontare la sua storia e lo fa con grande generosità.

Ci sediamo in un angolo del ponte di poppa della nave, e senza che io gli faccia una domanda inizia a raccontarmi: “Tutti ormai conoscono la situazione della terribile guerra in Siria, più di cinque milioni di persone sono scappate, hanno lasciato le loro famiglie, le loro case e tutto quello che avevano pur di fuggire. Io vivo in Libia, da vent’anni, lì ho incontrato mia moglie, lei è di origine afgana ma è nata in Pakistan perchè la sua famiglia è dovuta scappare dal proprio paese. Loro sono già stati migranti una volta.

Suo padre è un uomo d’affari che vendeva il riso basmati e anche nella mia famiglia siamo uomini d’affari, in questo modo ho incontrato e sposato mia moglie. Sono scappato dalla Siria perchè mi volevano prendere per fare il soldato, tutti i giovani dovevano arruolarsi e se si rifiutavano li portavano via.

Nel 1996 siamo fuggiti in Libia con mio padre, mia madre e le mie due sorelle, mentre mio fratello è andato in Arabia Saudita.
Non c’era più modo di ritornare nel nostro paese negli anni, si sono susseguiti dittatori sempre più crudeli che hanno lasciato il potere ai propri figli: Hafiz al-Asad è il padre dell’attuale presidente Bashar al-Asad che sta già addestrando il figlio di dieci anni per essere il suo successore.
Non finirà mai la repressione, non c’è democrazia dove non si può parlare. Mio padre e mio zio sono stati in prigione perchè avevano opinioni contrarie al regime.

Poi si interrompe e continua il discorso sulla situazione in Libia: “Prima della rivoluzione del 17 febbraio 2011 la Libia era un paese ricco e sicuro, tutti potevano andare a lavorare ed aprire le loro attività. Gheddafi usava la repressione dura solo verso chiunque parlasse di politica.
Dopo la sua morte nel 2012 il paese è peggiorato e quando le banche si sono svuotate tutto è andato fuori controllo, sono aumentati i crimini, le bande hanno iniziato a saccheggiare ovunque, a minacciare per rubare qualsiasi cosa, a picchiare e rapire i bambini. Molti sono morti e tanti sono disperati per aver perso tutto. La gente è sempre più arrabbiata e anche quella onesta ha iniziato a prendere delle brutte strade perchè non sa più come vivere. Tutta questa situazione ha un effetto molto negative sulla vita delle persone. Oggi la Libia non è più un paese, è una zona franca senza legge.

Io ero partner di un’importante multinazionale alimentare – mi chiede di non scrivere di più – mi occupavo di import-export e avevo molti contatti con agenti di molti paesi del mondo, compreso l’Europa.
E’ stata la mia Compagnia a suggerirmi di andare via perchè ogni settimana venivano nel mio ufficio uomini armati e coperti di nero, entravano e mi chiedevano se ero il proprietario, gli dicevo che ero solo un impiegato, dovevo dargli 5000 Dinar, altrimenti avrebbero preso mio figlio per chiedere un riscatto. Se sei un uomo ricco ti prendono tuo figlio per avere più soldi, se non hai soldi ti picchiano o ti ammazzano. Non hanno pietà per nessuno, conta solo il denaro”.

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Come per confermare il suo racconto mi dice: “Ascolta le notizie della Libia, ogni giorno comunicano che sono stati rapiti bambini anche molto piccoli. Come faccio a far vivere qui i miei figli?
Mia moglie poteva uscire di casa solo per andare al supermarket all’angolo, attraversare la strada era troppo rischioso, mentre i miei figli non potevano mai uscire. Non sono andati a scuola per tre anni perchè avevo paura che li rapissero, avevamo una casa grande con un bel terrazzo e quello era l’unico spazio dove potevano stare. Hanno sofferto molto e non parlano nemmeno tanto perchè non avevano relazioni con nessuno.”

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Così ho deciso di lasciare la Libia, ma mai senza di loro. Abbiamo lasciato una bella casa e un buon lavoro, ma per me non è un problema, ho bisogno di poche cose, l’unica cosa importante è la mia famiglia, se ci sono loro io ho tutto.
Non avevo scelta, il mare era lunico passaggio che avevamo per raggiungere l’Italia, sapevo che era pericoloso, ma lo era molto di più farli vivere là.

Ho contattato una persona che ci ha portati a Sabrata e per dieci ore siamo stati in una casa dove c’era una grande camera e molta gente. Alle 3 di mattina finalmente siamo partiti. Ho visto molta gente armata, ma tutte le luci erano spente, la strada era deserta, questi trafficanti sono famosi per la loro ferocia e la gente fa quello che loro vogliono.

Prima di salire sulla barca di legno ho dato molti più soldi al proprietario in modo che lui riducesse il numero dei passeggeri e la mia famiglia potesse viaggiare un pò più sicura. Ho pagato per tutti noi 36.000 Dinar, sono molti soldi, ma almeno erano salvi, almeno così speravo.

Quando la barca si è mossa mi è mancato il fiato dalla paura, non tanto per me ma per i miei bambini, Quando abbiamo lasciato la costa c’è un’altra barca vicino a noi, ci ha seguito per un pò, non so chi fossero, era buio e non si vedeva niente si sono avvicinati e ci hanno preso il motore e sono andati via. Io lì ho avuto molta paura e ho pensato che se dovevamo morire era meglio che fossimo tutti insieme.
Alle 10 di mattino quando ho visto la vostra nave ho pianto per la felicità, ho pregato e ringraziato che eravamo salvi

Adesso guardo solo il mare di fronte a me e alle spalle ho lasciato i criminali.

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(*) testimonianza in forma anonima
Autrice: Francesca Vallarino Gancia – Testimony Collector
Foto: Francesca Vallarino Gancia/SOS MEDITERRANEE
Editing: Natalia Lupi

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