Le Testimonianze: Brevi interviste ai sopravvissuti

Le Testimonianze: Brevi interviste ai sopravvissuti

Attenzione – contenuti forti: il seguente articolo riferisce atti di torture e violenze.

“Guarda la mia mano, questa è la Libia” 

Jemal* 16 anni, dall’Eritrea

Jemal* ha 16 anni e viene dall’Eritrea. È stato salvato da una imbarcazione di legno sovraffollata insieme ad altre 92 persone il 12 febbraio. Quando ho parlato con lui per la prima volta sul ponte della Ocean Viking, stringeva tra le braccia un bambino di 5 mesi originario della Costa d’Avorio.   

“Ho lasciato il mio Paese più di un anno fa con mia sorella. Lei è rimasta in Sudan; per noi era troppo pericoloso venire in Libia. Mi ha dato il suo anello per proteggermi, ma non appena ho attraversato il confine con la Libia, sono stato rapito. Mi hanno messo sul sedile posteriore di un’auto, abbiamo guidato per molto tempo, non saprei dire quanto. Ho passato sei mesi in prigione. Dopo aver visto quello che fanno alle donne qui, sono felice che mia sorella sia rimasta lì. Ho sentito le loro urla. Guardate la mia mano, questa è la Libia.  

Questa donna sulla nave mi ha dato il suo bambino perché stava piangendo. Sono felice di averlo in braccio, calma anche me”. 

* Il nome è stato cambiato per proteggere l’identità del sopravvissuto. 

La testimonianza è stata raccolta da Claire Juchat, addetta alla comunicazione a bordo della Ocean Viking, a Febbraio 2022. 

Amath* 19 anni, dal Senegal 

“Veniamo venduti come 200 anni fa, come fossimo degli oggetti” 

Amath* ha 19 anni e viene dal Senegal. È stato salvato dalla Ocean Viking da una barca in vetroresina il 14 febbraio. Amath era uno dei 247 sopravvissuti a bordo, dormiva sul ponte ed era solito svegliarsi nelle prime ore del mattino. Un giorno ha condiviso la sua storia con il nostro equipaggio.:  

“Ho lasciato il mio Paese 10 anni fa con mio fratello per cercare lavoro in Libia. Sono finito in prigione 10 volte, ed ogni volta le guardie o la polizia mi hanno picchiato. Una volta ho cercato di scappare e mi hanno sparato ad una gamba, ho ancora una cicatrice enorme. Ma non è l’unica, ho cicatrici su tutta la schiena, mi hanno bruciato e colpito più volte. Guarda, ho le foto sul mio telefono. In questa foto [che mostra un uomo con una benda piena di sangue intorno alla testa], c’è mio fratello, l’hanno colpito con un kalashnikov. Per noi in Libia le cose vanno male, molto male. Ci si sente in trappola, non si può scappare. Veniamo venduti come 200 anni fa, come fossimo degli oggetti. In Libia il concetto di ” possibilità” non esiste. Quando le persone partono via mare, la guardia costiera libica li cattura e li rispedisce in prigione”.  

* Il nome è stato cambiato per proteggere l’identità del sopravvissuto. 

La testimonianza è stata raccolta da Claire Juchat, addetta alla comunicazione a bordo della Ocean Viking, a Febbraio 2022. 

Abdo* 26 anni, dal Darfur in Sudan 

Abdo* ha 26 anni e viene dal Darfur, in Sudan. È stato salvato dalla Ocean Viking nella notte del 12 febbraio, da un’imbarcazione di legno sovraffollata insieme ad altri 87 sopravvissuti. L’imbarcazione è rimasta alla deriva per 12 ore prima di essere soccorsa dalla nostra squadra. Abdo ci ha raccontato la sua storia mentre aiutava l’equipaggio a lavare i piatti dopo la distribuzione del riso.  

“Ho lasciato il mio Paese molti anni fa. In Darfur è molto complicato, siamo perseguitati da anni. Sono andato in Libia, dove ho lavorato per qualche mese per raccogliere un po’ di soldi, con i quali ho cercato di fuggire [via mare] una prima volta. Un gruppo che non conoscevamo ci ha però intercettati e picchiati. Ho provato una seconda volta. E una terza volta. E una quarta volta. E una quinta volta. Sono stato catturato ogni volta. Questa era la sesta volta e voi ci avete salvati”.  

* Il nome è stato cambiato per proteggere l’identità del sopravvissuto. 

Adjoua* 18 anni, dalla Costa d’Avorio  

“Sono partita a 16 anni con il mio ragazzo, e siamo finiti per essere rapiti in Libia. Abbiamo passato un anno in prigione. Grazie a Dio non siamo stati separati, ma siamo stati picchiati ogni mattina e ogni sera. Ci veniva dato da mangiare solo una volta al giorno, e quello non possiamo nemmeno chiamarlo cibo. Ho bisogno di un intervento chirurgico alla pancia. Sono così stanca”. 

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