Sguardo sul Mediterraneo #13

Sguardo sul Mediterraneo #13

La seguente pubblicazione di SOS MEDITERRANEE intende far luce sugli eventi che si sono verificati nel Mediterraneo centrale nelle ultime due settimane. «Sguardo sul Mediterraneo» non è inteso come un aggiornamento esaustivo, ma si propone di trattare le questioni relative alla ricerca e soccorso che si verificano nell’area in cui operiamo dal 2016, sulla base di rapporti di diverse ONG, organizzazioni internazionali e articoli dalla stampa internazionale.

> Aggiornato al 16 settembre 2020

Corpi continuano ad arenarsi sulle coste libiche

 

Sono sempre più drammatiche le notizie che giungono dal Mediterraneo centrale, che rimane la traversata marittima più pericolosa del mondo. Nell’ultimo mese decine di corpi si sono spiaggiati sulle coste libiche. Martedì scorso, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) in Libia hanno anche riferito che almeno 20 persone hanno perso la vita in un ennesimo naufragio avvenuto al largo della Libia lunedì notte: due i cadaveri che finora sono stati recuperati dalla sedicente guardia costiera libica e 45 i sopravvissuti riportati in Libia.

 Il drammatico bilancio delle vittime su quella rotta centrale non smette inoltre di aumentare: il Missing Migrants Project dell’OIM ha aggiornato di recente le sue statistiche, dichiarando: “dalla metà di agosto, da quando sono stati segnalati 4 naufragi nel Mediterraneo centrale, 48 corpi si sono arenati sulle coste libiche. Secondo le nostre stime, almeno altre 54 persone potrebbero essere morte in mare in quegli incidenti”.

Anche sul fronte dei respingimenti i numeri sono altissimi, con centinaia di persone intercettate e riportate in Libia, anche negli ultimi giorni. Secondo l’OIM Libia, solo tra l’8 e il 14 settembre, 454 persone sono state riportate forzatamente in Libia. Dall’inizio dell’anno, l’OIM riferisce che più di 8.000 persone sono state intercettate in mare dalla Guardia Costiera libica.

Moonbird ha volato troppo: l’assenza di testimoni in mare

 

La scorsa settimana, Sea-Watch ha annunciato che il suo aereo di ricognizione civile Moonbird, che opera insieme all’Humanitarian Pilot Initiative (HPI) è stato messo a terra dalle autorità italiane, riducendo in questo modo la capacità di ricerca per via aerea, e quindi l’individuazione e il successivo soccorso di imbarcazioni in pericolo nel Mediterraneo centrale. Sea-Watch denuncia questa decisione come un’ulteriore criminalizzazione e tentativo di “chiudere gli occhi sul Mediterraneo”.

Oggi, la maggioranza delle navi delle Ong è stata bloccata dalle autorità, rese incapaci di proseguire le loro missioni di soccorso nel Mediterraneo centrale, come la Ocean Viking di SOS MEDITERRANEE sotto fermo amministrativo dal 22 luglio. L’assenza di testimoni in mare, la mancanza di comunicazione pubblica sulle operazioni di salvataggio e sulle intercettazioni, hanno creato un vuoto allarmante, mentre rimane un dovere urgente per noi continuare a testimoniare sulla tragedia in corso nel Mediterraneo centrale.

Per i sopravvissuti della Maersk Etienne la fine di un calvario durato settimane

 

40 giorni. Ci sono voluti 40 giorni in mare, per le 27 persone soccorse il 4 agosto dal cargo Maersk Etienne, prima di poter sbarcare in un luogo sicuro. Sono state costrette a trascorrere più di un mese in mare su tre diverse navi – da una piccola barca non adatta alla navigazione, che stava affondando, alla petroliera danese di 185 metri – da cui le autorità non hanno permesso lo sbarco per cinque lunghe settimane. Infine, i naufraghi sono stati trasferiti sulla nave di salvataggio civile Mare Jonio di Mediterranea, a seguito di una valutazione medica effettuata a bordo venerdì scorso. Per motivi di salute, una donna e suo marito sono stati poi evacuati dalla Mare Jonio dalla Guardia Costiera italiana. L’odissea del più lungo stallo mai registrato nella zona di Ricerca e Soccorso (SAR) del Mediterraneo Centrale si è finalmente conclusa con lo sbarco dei sopravvissuti nel porto di Pozzallo, il 19 settembre scorso. I naufraghi erano stati soccorsi il 4 agosto.

Anche le 278 persone salvate dalla nave della Ong spagnola Open Arms, in tre salvataggi tra l’8 e il 10 settembre, si trovano a dover affrontare ancora una situazione simile: tutte le richieste di sbarco in un luogo sicuro sono state finora negate dalle autorità. E oggi l’equipaggio della nave di soccorso ha riferito di gravi momenti di tensione e disperazione accaduti ieri a bordo: diversi sopravvissuti si sono gettati in mare, fortunatamente tutti recuperati, sani e salvi, dall’equipaggio insieme alla Guardia Costiera Italiana.

Gli stalli in mare comportano una sofferenza prolungata e rischi per la sicurezza

 

Le situazioni di stallo in mare, a cui assistiamo sempre di più negli ultimi mesi, hanno dimostrato che mantenere una nave in attesa e senza istruzioni per lo sbarco dei sopravvissuti, oltre a prolungarne sofferenze, mette a rischio la sicurezza dei sopravvissuti e quella dell’equipaggio. Infatti, una nave non è destinata ad accogliere i sopravvissuti per periodi di tempo così prolungati e indefiniti. Nel luglio 2020, l’equipaggio della Ocean Viking di SOS MEDITERRANEE è stato testimone di come queste situazioni di incertezza possano portare ad atti di disperazione, al punto di spingere i sopravvissuti  a gettarsi in mare: allora è stato persino necessario dichiarare lo stato di emergenza. La stessa situazione si è verificata di recente a bordo della Maersk Etienne, quando tre persone si sono gettate a mare. Il Times of Malta ha riferito che un sopravvissuto aveva anche “minacciato di saltare fuori bordo per “liberare la nave” da sé stesso (…), suggerendo implicitamente che era un peso e che l’equipaggio “non meritava” di rimanere bloccato, essendo stato così gentile da salvarli.”

Esiste il rischio che le navi commerciali siano dissuase dall’effettuare salvataggi?

 

Nel corso del recente stallo della Maersk Etienne, sono emerse forti preoccupazioni sulle potenziali ricadute di simili blocchi di navi commerciali sul futuro della SAR nel Mediterraneo centrale, dove la capacità di salvataggio è già gravemente carente: questi blocchi potrebbero costituire un pericoloso precedente, mettendo a rischio un maggiore numero di vite, e dissuadere le navi commerciali dal soccorrere le imbarcazioni in pericolo come richiesto dalla legge, onde evitare di essere potenzialmente coinvolte in un lungo stallo politico in mare.

Le politiche di deterrenza contro l’attività di Ricerca e di Soccorso nel Mediterraneo centrale non sono certo una novità. Negli ultimi tre anni, la deterrenza ha assunto varie forme e modalità; si sono ripetuti i casi di ONG e di navi commerciali lasciate nel limbo, senza un porto per sbarcare dopo aver prestato soccorso ad un’imbarcazione in difficoltà. In molti casi, mentre i sopravvissuti erano già a bordo, si sono susseguite interminabili ed estenuanti negoziazioni diplomatiche tra Stati che, in ognuna di queste occasioni, non sono riusciti a trovare soluzioni ad hoc in modo tempestivo. Quest’anno gli esempi sono numerosi, pensiamo in particolare alle navi mercantili Marina e Talia, che hanno entrambi subito lunghi stalli senza l’assegnazione di un luogo di sbarco per vari giorni con a bordo naufraghi; nel caso della Talia, un cargo porta bestiame con 52 naufraghi in precarissime condizioni di salute, di cui la foto di un sopravvissuto era diventata un simbolo della tragedia dei migranti.

Le politiche europee vengono meno agli obblighi del diritto marittimo, senza discriminare tra navi di Ong e navi commerciali

 

A causa della durata record del caso dello stallo della Maersk Etienne, l’argomento è stato sollevato come un motivo di preoccupazione non solo da parte delle organizzazioni dei diritti umani e delle organizzazioni umanitarie e operative nella Ricerca e Soccorso, ma anche da istituzioni, sindacati e singoli attori dell’industria marittima – nei media internazionali, nonché dai media e dalla stampa specializzata nel settore marittimo. In una dichiarazione congiunta con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), la Camera internazionale delle spedizioni (ICS) ha invitato l’Organizzazione marittima internazionale (IMO) a mobilitarsi per lo sbarco dei 27 sopravvissuti. La European Community Shipowners’ Associations (ECSA) e la European Transport Workers’ Federation (ETF) hanno chiesto all’Unione Europea (UE) di “coordinare le negoziazioni per una soluzione rapida e solidale per le persone salvate a bordo della Maersk Etienne”. Anche Maria Skipper Schwenn, direttore esecutivo per la sicurezza della Danish Shipping, ha fatto sentire la sua voce, chiedendo agli Stati di trovare una soluzione per risolvere questo stallo politico e “unire le forze [con le ONG SAR] per stabilire soluzioni eque e dignitose per le future operazioni SAR delle navi mercantili”.

Nelle ultime due settimane sembra che la questione del continuo deterioramento delle condizioni per le attività di salvataggio nel Mediterraneo centrale non sia più percepita come una questione che riguarda solo le Ong SAR e le loro navi. Per quanto le politiche europee discriminino in modo sistematico le persone che tentano la traversata della più pericolosa rotta migratoria marittima al mondo, esse in realtà non discriminano tra le navi senza scopo di lucro e le navi commerciali. Quando si tratta di salvare le persone in difficoltà nel Mediterraneo, i marinai e l’industria marittima nel suo complesso si trovano di fronte alla stessa mancanza di rispetto per il diritto marittimo. Di fronte a questa situazione, sono sempre più numerosi i principali attori chiave dell’industria marittima che si mobilitano, un segno di speranza per la salvaguardia del dovere fondamentale di salvare vite umane in mare.

Intervistato dopo la fine del calvario della Etienne, Tommy Thomassen, Chief Technical Officer di Maersk Tankers, ha ricordato questi principi fondamentali: Se fosse da rifare lo rifaremmo, è così che siamo, faremo sempre il nostro dovere. (…) Queste sono le istruzioni che abbiamo avuto per cento anni. Quando le persone hanno bisogno di aiuto, noi interveniamo. Abbiamo sempre fatto questo. È il dovere di ogni marittimo. È così profondamente radicato nel nostro DNA e nei nostri valori. E questo è ciò che ha fatto il capitano di Maersk Etienne.”

Gli Stati dovrebbero infine adempiere al loro dovere di assistere i comandanti e fornire un luogo di sbarco tempestivo. A tal fine, occorre rilanciare l’accordo di Malta del 2019 per il trasferimento delle persone che sbarcano a Malta e in Italia in tutti gli Stati membri dell’UE. Finora, ancora una volta, la nave di una ONG ha dovuto colmare il vuoto lasciato dagli Stati e prestare assistenza alla Maersk Etienne, prima che i sopravvissuti potessero sbarcare in un porto sicuro.

Photo credit: Yann Levy / SOS MEDITERRANEE

Il nostro “Sguardo” resta sul Mediterraneo. Per garantire testimonianza di quel che avviene nel Mediterraneo Centrale e per onorare i morti e i dispersi. Continuiamo a osservare e a raccontare.

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