SalvaMenti… Siamo tutti sulla stessa barca – #10: la zattera della Medusa

SalvaMenti… Siamo tutti sulla stessa barca – #10: la zattera della Medusa

EPISODIO 10

La zattera della Medusa

Théodore Géricault

1818-1819

Olio su tela

Parigi, Museo del Louvre

 

Il mondo nel quale viviamo è un mondo dominato dalle immagini. Alcune di esse sono entrate a far parte della nostra quotidianità anche se non siamo persone abituate a guardare i telegiornali. La rete, in questo senso, amplifica in maniera esponenziale le immagini che i media dell’informazione veicolano quotidianamente.

Per cui osservare immagini di barconi affollati o di migranti soccorsi sui gommoni non ci fa quasi più impressione, siamo così abituati che non riusciamo più a decifrare correttamente cosa ci vogliono dire, non riescono più a coinvolgerci emotivamente.

Ma questa sovraesposizione è una caratteristica dell’ultimo ventennio, qualcosa di molto recente.

Nei secoli passati l’immagine conservava una sua potentissima carica espressiva. Vedere qualcosa significata coglierlo in maniera più efficace, comprenderlo ancora meglio di quello che si poteva fare solo attraverso una descrizione.

Questa premessa per tentare di raccontare quella che deve essere stata la percezione dei contemporanei di Géricault quando poterono ammirare per la prima volta il dipinto de La zattera della Medusa.

 

 

Innanzitutto è importante ricordare che il dipinto è ispirato a un fatto di cronaca dell’epoca del pittore. La Medusa era una fregata francese che naufragò in Mauritania. Una parte dell’equipaggio non riuscì a salire sulle scialuppe e fu caricato su una zattera che venne fissata con una cima a una delle scialuppe. Quando la cima si ruppe l’equipaggio della scialuppa abbandonò i naufraghi che passarono giorni in mare aperto prima di essere soccorsi. Sulla zattera le condizioni dei naufraghi si fecero estreme. Qualcuno non sopravvisse, altri si abbandonarono ad atti di cannibalismo, altri ancora preferirono il suicidio a una morte peggiore.

Géricault dipinse i naufraghi nel momento in cui, in lontananza, avvistarono la nave che li avrebbe poi salvati. Il pittore non tentò di edulcorare nulla e dipinse tutto con un realismo a cui difficilmente i suoi contemporanei erano abituati. Il realismo dell’anatomia e dei segni della morte (la pelle gonfia, la carne livida, le pose disarticolate) è un elemento che colpisce anche l’osservatore di oggi, figuriamoci i contemporanei di Géricault che, probabilmente, assistevano per la prima volta alle conseguenze di un naufragio.

A noi osservatori contemporanei, invece, questa immagine richiama le tante analoghe legate alle migrazioni che da decenni stanno attraversando il Mediterraneo. I sopravvissuti sulla zattera ci fanno venire in mente i sopravvissuti sui gommoni; sopravvissuti che hanno passato giorni in mare in condizioni estreme esattamente come gli occupanti della zattera della Medusa.

E se un’immagine che risale a due secoli fa può servire a dare nuova potenza e nuovo significato a tante immagini analoghe che non sono più in grado di suscitare lo stesso coinvolgimento emotivo che provarono i contemporanei di Géricault durante l’esposizione del dipinto al Salon di Parigi, allora significa che l’arte non è morta ma ha ancora molto da dire.

 

Valentina Nencini

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