Non abbiamo possibilità in Guinea Conakry – La testimonianza

Non abbiamo possibilità in Guinea Conakry – La testimonianza

Aquarius Sabato 17/09/2016

Incontro un gruppo di giovani provenienti dalla Guinea Conakry a bordo dell’Aquarius.
Erano tra i bambini, le donne e gli uomini che SOS MEDITERRANEE ha salvato da due gommoni in pericolo nel Mar Mediterraneo a metà settembre 2016.

Gli uomini giovani tra i 16 e i 20 anni stanno insieme sul ponte. E’ un comportamento normale dopo che salviamo tanti esseri umani da tanti Paesi diversi. Questa volta le persone vengono da 15 differenti Paesi africani, il gruppo della Guinea Conakry è di 42 persone. Donne, uomini e bambini si riuniscono con quelli che provengono dallo stesso Paese. Alcuni in questa parte del ponte, altri si accomodano in un altro angolo della nave. Stanno insieme.

Sep 11th 2016. The Aquarius crew rescues two rubber boat in distress.

“Vogliamo andare dove ci possiamo sentire al sicuro. Il posto da cui veniamo non è sicuro per noi” dice uno dei giovani. “Ci sono diversi gruppi etnici in Guinea Conakry. Noi apparteniamo ad una minoranza. E l’altro gruppo controlla tutto”, dice un altro.

La situazione in Guinea Conakry è delicata da diversi anni. Nel corso della guerra civile nella vicina Liberia che si è conclusa nel 2003 i conflitti etnici si sono estesi alla Guinea Conakry. Gruppi etnici diversi hanno supportato gruppi diversi in Liberia, cosa che ha condotto a tensioni interne anche in Guinea Conakry. Di tanto in tanto ci sono attacchi con vittime tra i gruppi etnici.

“Non abbiamo alcuna possibilità in questa società nel nostro Paese. Gli altri controllano tutto e noi non possiamo lavorare, ottenere un lavoro, non abbiamo denaro, non siamo accettati. Non c’è nessuna possibilità per noi, così abbiamo lasciato la Guinea Conakry”, mi dice l’uomo.

Alcuni dei minori hanno perso i genitori, altri semplicemente hanno lasciato indietro i loro cari in cerca di un futuro migliore. Generalmente il loro viaggio pieno di incognite li conduce in altri Paesi vicini e loro provano a lavorare. Perlopiù alla fine tutti finiscono in Libia dove sperano di trovare un lavoro ben pagato- ma è una speranza lontana dalla realtà.

“In Libia eravamo percossi con i pugni e con le armi. Lavoravamo ma non abbiamo mai ricevuto soldi. La mattina ci davano una patata da mangiare – per l’intera giornata. Non avevamo acqua da bere, solo acqua salata. Anche i bambini vanno in giro armati. E’ pericoloso. Sparano senza chiedere. Per noi è stato l’orrore. Abbiamo dovuto lasciare questo Paese terribile.”

Alcuni dei giovani dicono che vogliono studiare, altri semplicemente vogliono lavorare. Parlano Francese ma non Inglese e non sanno ancora in quale Paese vogliono realmente andare.
In che modo vogliono proseguire dopo l’arrivo in Italia?

“Non lo sappiamo. Io voglio andare in Norvegia” dice uno dei più giovani. Gli dico che in Norvegia fa molto freddo. Mi guarda con gli occhi sgranati “molto freddo?”. Gli dico che la temperatura potrebbe arrivare fino a meno 20. Silenzio. Allora tutti si mettono a ridere. “E’ in ogni caso meglio che da dove veniamo. Porteremo tutti cappelli di lana come questo” e indica uno dei suoi amici del gruppo che indossa un cappello di lana da sci – anche qui sulla nave, con una temperatura di 30 gradi in questo momento.

Adesso viene da ridere anche a me e auguro loro buona fortuna, sapendo che per loro il futuro sarà difficile ma – si spera – migliore di quello che hanno già attraversato.

Testo: René Schulthoff

Traduzione: Barbara Amodeo

Photo Credits: Marco Panzetti/SOS MEDITERRANEE

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