Diario di bordo – G13 – Vagando tra Thawarga e Calais

Diario di bordo – G13 – Vagando tra Thawarga e Calais

Ho lasciato Assiz sulla banchina del porto di Lampedusa. Attraverso il vetro del bus che portava i rifugiati al centro di accoglienza, l’ho visto ridere come un bambino mostrando la sua t-shirt “non mi piace il lunedì”. L’Acquarius ha subito mollato gli ormeggi ed è sfrecciato a sud verso la Libia. Senza i suoi 74 migranti, la nave sembrava un po’ vuota. Sdraiato sulla mia branda, faticavo a dormire persino dopo una notte insonne. Ripensavo ai sette anni in fuga di Assiz, dalla sua Guinea fino all’inferno libico, al suo sequestro, alla detenzione, alla tortura, alle cicatrici sul suo volto.

 

Improvvisamente mi è tornato in mente, molto chiaro, il ricordo di un reportage durante la guerra laggiù. Innanzi tutto la lunga strada costiera che seguiva il percorso delle battaglie fino alla caduta di quel buffone sanguinario di Gheddafi. Costeggiavamo il mare da Tripoli a Misrata, città martoriata da un assedio di quarantacinque giorni. Poco prima, colonne di fumo nero si sollevavano dalle rovine di Thawarga, città fantasma, una volta popolata da 30 000 abitanti. Non più un umano nelle strade vuote. Cani randagi, asini, mucche affamate, abbandonati. E nel salotto della villa in cui avanzo con piede attento, un grande tappeto morbido occupato da una pecora morta di sete. Ricordo la morte e desolazione. Ovunque ville saccheggiate, porcellane rotte, mobili depredati, tende strappate, letti coperti di merda. Sulla facciata di una casa, una mano aveva scritto: “Negri. Schiavi.”

 

Tawergha è sempre stata una città di lebbrosi. È qui che venivano raggruppati gli schiavi strappati dall’Africa tropicale, qui che i loro discendenti si sono sedentarizzati. Immigrati interni a disposizione degli importanti arabi locali. Un corteo di domestici, di manovali di ragazze da abusare. Gheddafi se n’è servito per reclutare a forza i suoi scagnozzi. Per loro sfortuna. Ho girato a lungo nella polvere di Thawarga. Il vento dei combattimenti riempiva l’aria di fumo grasso, di sabbia e di elettricità. Venuto dalle dune, soffiava senza sosta. Così a lungo che gli alberi crescevano inclinati verso il mare. Così forte che aveva capovolto il terrapieno della ferrovia di costruzione. Questo vento del deserto rendeva pazzi.

 

E la notte, accanto a un fuoco che puzzava di benzina, i combattenti della katiba di  Misrata si eccitavano a colpi di storie di mercenari africani, racconti di atrocità terribili, di tradimenti e complotti. Oh certo, colpa dei neri! Dopo la vittoria finale, i “combattenti per la democrazia” hanno devastato la città indifesa che hanno ribattezzato “New Misrata”. Thawarga aveva tradito, Thawarga doveva sparire. Lasciando la città in rovina, ho letto su un muro a grandi lettere l’obiettivo di questa nobile battaglia: “Epurare la città dei suoi schiavi dalla pelle nera”.

 

L’Acquarius è arrivato all’alba davanti alle coste libiche, giusto in tempo per quando i migranti si gettano in acqua. Ma il Mediterraneo era mosso e le acque vuote. Siamo rimasti lì a dondolarci sulle onde, di fronte agli edifici di Tripoli che scorgevamo a occhio nudo. Forza! Venite, compagni migranti, se ci tenete. Calais, per un Nero, non è il massimo, lo so. Ma è sempre meglio del vento del deserto libico.

Aquarius 09 marzo 2016
Jean-Paul Mari

 

Fonte -> http://www.liberation.fr/france/2016/03/09/sos-mediterranee-errance-entre-thawarga-et-calais_1438534

 

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